Amici dakariani, abbiamo scovato fra le pile polverose di riviste, un’intervista di Motosprint a Franco Zotti e la compianta Patrizia Wolf. Ci sembrava doveroso e rispettoso tributarle uno spazio su questo sito.
La Parigi-Dakar è una gara sufficientemente dura di per sé, ma c’è sempre qualcuno che decide di complicarla ulteriormente con qualche idea strampalata come quella di lasciare la capitale francese su tre ruote, in sidecar o in trike, oppure affidandosi alla ridotta potenza di una 125 o una 250, trovandosi poi ad annaspare a passo d’uomo nella sabbia.
Solitamente si tratta di iniziative nelle quali credono poco anche gli stessi protagonisti, che riprendono la strada di casa dopo un paio di giorni d’Africa. Fanno sicuramente eccezione alla categoria Franco Zotti e Patrizia Wolf, partiti dall’Italia per raggiungere Dakar edizione 1989 in sella ad due Honda XR 250 a quattro tempi.
«L’ho fatto perché se arrivi al traguardo per ultimo con una 600 non sei nessuno spiega Zotti — mentre finire la gara con una quarto di litro vale qualcosa di più».
Goriziano, ventinove anni, Zotti è alla seconda Dakar dopo una breve partecipazione nell’88, della quale si parlò perché per cercare di incrementare il budget si tuffò in acqua da un ponte alto ventidue metri. Quest’anno invece per autofinanziarsi ha lasciato il lavoro…
«Rischiare la vita buttandosi in un fiume per racimolare pochi spiccioli è una follia, per questo ho rinunciato. Mi sono licenziato e con la liquidazione per i dieci anni che ho lavorato come ma-gazziniere ho pagato l’iscrizione. Per la moto, il meccanico e le spese ho fatto dei debiti. Una volta a casa troverò un altro lavoro e li pagherò. Non è una follia. Ognuno ha i suoi sogni e se arriverò a Dakar io avrò realizzato il mio».
Per Patrizia Wolf invece, quella di correre con una 250 non è stata esattamente una scelta. «In realtà, dopo avere corso il Rally dei Faraoni non pensavo neppure di venire alla Dakar L’idea è nata quando sono stata alla concessionaria di Ormeni per ordinare la moto con cui correrò nell’89 Massimo Orme-ni mi ha offerto di partecipare con una moto identica a quella di Zotti che era già pronta. Non potevo rifiutare».
Ventisettenne tedesca di Darmstadt, Patrizia è venuta in Italia tre anni fa per disputare una delle sue prime gare e non se n’è più andata.
«Avevo cominciato a correre nell’enduro in Germania, ma è Bergamo la capitale di questa specialità, così mi ci sono ferma-ta trovando uno sponsor nella IPA (un’azienda che produce prefabbricati) che oggi è anche l’azienda per cui lavoro. Finirà che dovrò lasciare la Dakar ma in fondo è l’enduro la specialità che preferisco. Per correre basta una moto e via, senza tanti problemi di assistenza».
Laureata in architettura all’università di Francoforte, ipersportiva (per allenarsi pratica footing e ciclismo), Patrizia ha scoperto proprio in Africa l’amore per la moto. Era in Algeria, a Tamanrasset, per praticare free climbing, un’altra delle sue specialità preferite, e vedeva ogni giorno qualche motociclista in partenza o di ritorno dalle piste. Fino a quando qualcuno non l’ha fatta provare. «Mi sono divertita moltissimo e così ho finito per cambiare sport, anche perché dall’Africa sono tornata tutta scorticata per una caduta mentre scalavo una parete e perché non ho più amici con la stessa passione».
Alla sua seconda Parigi-Dakar è rimasta l’unica donna in gara. Viaggiando ad una velocità che nella sabbia non supera i 60 km/h Franco e Patrizia viaggiano uno a fianco all’altro, aiutandosi a vicenda ad uscire dai guai quando necessario. Sulle spalle hanno un fardello di sette-otto chili tra attrezzi e pezzi di ricambio. Tutto l’indispensabile per un intervento di fortuna. L’imperativo è fermarsi soltanto a Dakar.
Ndr. Franco e Patrizia arrivarono regolarmente a Dakar sulle loro piccole Honda, in 31° e 32° posizione, su 60 moto al traguardo!