YAMAHA TT600 Wild Team – Dakar 1990
Per la preparazione delle tre moto che hanno concluso la Parigi Dakar sono stati presi, come base di partenza, i motori del XT 600 1989 e il telaio del TT 600. Interventi sul motore non sono stati radicali. Nessuna maggiorazione di cilindrrata, ma solo una particolare messa a punto.
La decisione di non procedere nella sostituzione preventiva a metà gara del propulsore (che avrebbe implicato la squalifica automatica dalla categoria silhouettes) obbligato a mantenere sollecitazioni e dimensionamenti nella norma. Una leggera raccordatura dei condotti, un radiatore dell’olio (della Yamaha 750 mono a cinque valvole), l’albero a camme del kit BYRD per elaborare il TT 600, la cassetta filtro di aspirazione rifatta per ospitare l’elemento in carta della Renault 12(l’unico a trovarsi in ogni angolo dell’Africa) e un’accurata messa a punto di carburazione, sono i pochi interventi eseguiti sul motore. Il sistema di scarico è stato costruito ex novo su dalla BYRD, trattasi di un sistema a scarico libero con megafono e controcono finale, è arrivato il lamierino di 0,8 mm di spessore. I collettori al cilindro sono stati mantenuti sdoppiati (uno per valvola) è stato previsto il collegamento ad un silenziatore finale per i trasferimenti europei.
L’accensione rimasta quella originale dell’ex così come il cilindro pistone valvole e testata; questi ultimi uguali nel motore del motore XT del 1989. La scelta del cilindro incamiciato piuttosto che a quello con riporto galanico del TT 600 è stata fatta per godere di una maggiore affidabilità nei confronti delle inevitabili infiltrazioni di sabbia. I carter esterni sono infine stati sabbiati e verniciati trasparente ma solo per motivi estetici. La carburazione è stata quindi per ritoccata con un discreto arricchimento nel getti minimo e massimo.
La corona originale è stata sostituita con una Chiaravalli in acciaio unita ad una catena RK auto-lubrificante con o-ring, lasciando solo il pignone originale. Da segnalare inoltre l’adozione di un rinforzo per l’alberino di comando del cambio, con una piastrina di sicurezza contro gli eventuali urti. La lubrificazione del propulsore e del cambio è stata affidabilità a un buon multigrado come lo Shell Helix.
Durante la gara la manutenzione di ogni moto a richiesto tre candele, quattro filtri olio e tre set completi di catena corona pignone, innumerevoli filtri aria e benzina e un carburatore completo per la moto di Marcaccini (pagato ben 4000 Fr. al team Yamaha Sonauto).
Quello montato ha inspiegabilmente cominciato a far girare il regolarmente il motore e nemmeno una pulizia completa è riuscito a riportarlo nelle condizioni di partenza.
Impianto elettrico
Anche questo importante componente è stato rifatto completamente, privandolo di ogni collegamento superfluo e raddoppiandolo per intero. Quindi: due bobine e due centraline.
I fanali anteriori, due alogeni della Fiat Ritmo sono stati inseriti nel cupolino grazie a una staffa di sostegno che garantisce una regolazione differenziata per l’inclinazione del fascio luminoso, in modo da ottenere sempre una adeguata illuminazione nelle lunghe discussioni delle sospensioni. La batteria adottata di tipo sigillato, ha fornito l’energia anche alla pompa elettrica della benzina prelevata da una Yamaha Tenere 600: universalmente riconosciuta come la più affidabile dal popolo motociclistista della Dakar. Per la navigazione sono stati montati Road Book a funzionamento elettrico della MD, il trip master originale dell’onda XT 600 R e una bussola aeronautica .
Telaio
La base e quello della Yamaha TT 600 la parte anteriore è stata ovviamente rinforzata con fazzoletti saldati nella zona del cannotto di sterzo, ma anche ad aumentare vi cerca 1 litro la capienza olio motore che circola all’interno dei tubi. L’arco utile dello sterzo è stato diminuito con l’usuale placchetina saldata anteriormente al cannotto, misurata agli angoli esterni presenta una larghezza di 50 mm invece dei normali 20 mm. Questo per evitare che, in caso di caduta, la forcella sfondi il serbatoio. La parte posteriore invece è stata ridisegnata è costruita completamente.
Anche gli attacchi forcellone. Il lavoro maggiore però è stato richiesto dalla progettazione e realizzazione del forcellone. Più lungo e ben 150 mm rispetto a quello originale, è stato costruito in Carpental, la sezione esterna è di 80 × 35 mm.
L’attacco al telaio avviene mediante due piastre ricavate dal pieno e unite ai due bracci per saldatura. Come si può giudicare dalle foto il forcellone denota una finitura veramente pregevole. Va ricordato che tutte le lavorazioni telaistiche che sono state realizzate con l’aiuto di maschere costruite appositamente. I cavalletti, particolare importantissimo, sono di tipo laterale e posti in entrambi i lati della moto. Se abbassati contemporaneamente, la ruota posteriore rimane sollevata da terra, consentendo così una agevole sostituzione della stessa. A sinistra si mantiene la stampella originale arricchita di una base larga in nylon per prevenire meglio la fondamento sulla sabbia. Dall’altra parte troviamo cavalletto contenitore del tipo montato dalle Yamaha ufficiali. Infatti è stato realizzato sulla base di alcune fotografie.
Il reparto sospensioni è servito da una forcella Kayaba tipo tradizionale, di provenienza ufficiale con steli da 43 mm e da Mont ammortizzatore Ohlins privo della regolazione idraulica esterna in compressione, con leveraggi di progressione del TT 600
La bellissima forcella è completamente richiamata dal pieno per quanto riguarda foto e i pompanti ed è dotata di sgancia ruota rapido (anche se, relativa utilità ora che le mousse hanno preso il sopravvento rispetto alle tradizionali). All’interno dei pompanti è montato un sistema di anticavitazione per l’olio idraulico. Più lunghi invece i collaudi per la taratura finale del mono ammortizzatore, che è stata definita pochi giorni prima della partenza per Parigi. Il pacco lamellare interno lavora immerso in olio Ohilins specifico e in sintonia con una molla da 9,5 kg (leggermente più chiusa per il peso). La pressione interna è di 15 atmosfere e bisogna specificare che durante la gara non si è mai reso necessario sostituire l’unità ammortizzatore in nessuno delle tre moto,
Le piastre della forcella che se ricavate dal pieno lavorando 2 blocchi di Avional 24, invariata la geometria di sterzo, ma aumentata l’altezza delle stesse: 38 mm per quella superiore e 40 mm per quella inferiore ruote sono state assemblate nella officina di Wild Team con mozzi e e raggi provenienti dalla ufficiale, e cerchi Takasago di normale produzione. Per quest’ultimi però si è dovuto acquistarli non forati per la raggiatura, che è stata eseguita dopo la specifica foratura richiesto dal mozzo, disegnato per cerchi DID.
E per i perni ruote e forcellone Marcaccini è Montebelli si sono rivolti allo specialista Poggipolini, che li ha realizzati in acciaio, mentre per la bulloneria si è cercato di mantenere quella originale, giudicata ottima. I freni sono stati forniti sempre dalla BYRD e troviamo davanti un bel disco Brembo in ghisa da 300 mm ampiamente sforato e con montaggio flottante sulla flangia in lega leggera. Posteriormente viene in aiuto per frenare gli oltre 160 kg a secco di questa speciale un disco in acciaio da 230 mm accoppiato anche esso ha una pinza Nissin a due pistoncini.
Al manubrio troviamo i comandi originali del XT con quelli elettrici modificati nelle funzioni. Solo il manubrio, uno Zaccaria in ergal i nostri hanno scelto per la sua eccezionale robustezza, viene montato con un particolare ponticello, sempre in piega che unisce le due staffe di ancoraggio alla piastra superiore. Grazie a questo particolare Marcaccini nel 1988 ha potuto concludere 1000 km di una tappa nonostante la piastra forcella superiore spezzata a metà, con il solo soccorso di una cinghia in nylon prestata da Clay regazzoni.
In ultimo abbiamo lasciato quelli che sono forse i pezzi più importanti per avere allo stesso tempo una moto funzionale e guidabile: i recipienti per la dislocazione dei 60 l di carburante che è necessario portarsi appresso durante la maratona africana. Costruirsi i serbatoi per un enduro non è un’operazione impossibile, ma farlo per la Dakar, e quindi nella maniera più robusta possibile è un altro affare.
Non vorremmo scadere in dicerie da bottegai, ma la stessa blasonata Gilera ufficiale ha lamentato nell’ultima Parigi Dakar, perdite dai serbatoi che i poveri meccanici hanno dovuto riparare spesso. Tutte le sovrastrutture per la loro special sono proprio i particolari meglio riusciti. Realizzate in lamiera di alluminio piegata, sagomata e saldata come pochi ma battilastra sanno fare. È da tenere presente che la moto protagonista del servizio, seppur restaurata rimane pur sempre la moto che ha portato Marcaccini da Parigi a Dakar. Venendo al sodo troviamo i due serbatoi anteriori, per una capienza totale circa 45 lt. facilmente smontabili e con un collegamento a vasi comunicanti per una lettura immediata, durante la marcia, della benzina ancora disponibile.
Il pescaggio del prezioso liquido avviene grazie alla pompa elettrica già menzionata, coadiuvata innesco da una pompetta manuale in gomma di tipo motonautico. Sotto la sella, rivestita in finta pelle scamosciata, per una migliore aderenza al fondoschiena, trovano posto gli altri 15 lt. di carburante. Il portapacchi posteriore chiude la culla posteriore ed è provvisto di due maniglie molto utili negli insabbiamenti.
All’interno di questi involucri è stata introdotta una speciale spugna per evitare violenti sciacqui, altrimenti pericolosi nella guida, e soprattutto in curva. Sotto il motore è posto il serbatoio dell’acqua (obbligatorio per regolamento) con i suoi 6 lt. circa di capienza, l’alloggiamento della batteria e un ripostiglio capiente per eventuali ricambi e attrezzi. Con la piastra inferiore, quest’ultimo funge anche da scudo di protezione per il basamento del motore.
Infine il cupolino e i parafanghi sono stati realizzati su disegno del Wild Team anche se chiaramente ispirati a quelli delle Yamaha ufficiali. Nella loro progettazione si è curata soprattutto la riparabilità in caso di incidente. E dobbiamo riconoscere, dopo aver visto Marcaccini all’opera, che tutte le sovrastrutture si smontano in pochissimi minuti. Un ottimo lavoro dunque, soprattutto in considerazione del pregevole risultato globale che non ha mancato di stupire vari esponenti della stampa straniera e mi stessi avversari.
Ndr: tutte le 3 Yamaha del Wild Team raggiunsero il traguardo di Dakar, Montebelli 17°, Aluigi 28° e Marcaccini 30°.