Dakar 1997: Peterhansel è di un altro pianeta
É stata un’edizione ancora funestata da un lutto: Jean-Pierre Leduc muore (è la 33esima vittima dal 1979) il 5 gennaio, il secondo giorno di gara nel corso di una speciale particolarmente dura. Il pilota francese, 45 anni, una moglie e un figlio, cadeva in una profonda buca al km 247 della speciale e la sua balise (il dispositivo che segnala un problema e che esclude automaticamente dalla gara) veniva subito accesa dall’equipaggio di un camion arrivato sul luogo dell’incidente. L’elicottero di soccorso atterrava dopo 13 minuti ma i rianimatori potevano solo constatare il decesso del pilota francese.
E questo nonostante l’edizione di quest’anno abbia avuto uno spiegamento medico di tutto rispetto: 35 medici, 2 elicotteri per la rianimazione e il pronto soccorso, un aereo ospedale e uno da campo per ogni bivacco. La Dakar di quest’anno ha dovuto combattere anche contro il pubblico che affollava il tracciato. Cosi nella quarta tappa da Nara a Toumbouctou, un percorso pieno di sabbia finissma che costituisce il fesh-fesh, la speciale tra 2° e il 3° controllo veniva cancellata per motivi di sicurezza. E poi c’è stato il cambio di programma in corsa con il percorso modificato a causa degli atti di guerriglia dei ribelli Tuareg che proprio nella zona dell’altopiano dell’Air hanno la loro roccaforte. É stata cosi eliminata la “speciale” in Niger e l’ultimo tratto fino a Agadez è stato fatto sull’asfalto. La “navigazione” promessa da Auriol, il ritorno all’intuito e all’insita capacità d’orientarsi nel deserto, alla ricerca della pista giusta tra le dune, è stata verificata dal GPS,
II Global Position System, il computer che monitorizza le coordinate terrestri per stabilire la rotta dei concorrenti. La gara vera e
propria non ha avuto storia per la prima posizione. Solo la certezza della supremazia di Stéphane Peterhansel e della sua Yamaha XTZ 850 TRX contro lo squadrone KTM e l’inserimento della Cagiva Elefant (in veste privata) dello spagnolo Gallardo. Dopo avere fatto lo scratch nel-le prime 4 giornate di gara spingendo come un matto, il pilota francese si è rilassato andando letteralmente a spasso per il resto della Dakar. Alla fine della corsa ha accumulato più di 2 ore e 30 minuti di vantaggio. Una dimostrazione di forza grazie alla sua bravura (e alla sua 5a vittoria alla maratona africana) e alla affidabilità della sua Yamaha bicilindrica, una vera moto “ufficiale” che si é aggiornata anno dopo anno e che può disporre di una potenza dichiarata di 85 cv, di una velocità massima di 195 kmh e di un un peso di 210 kg.
Mancando Edy Orioli, diventato giornalista per l’occasione a bordo di un fuoristrada della stampa (non ha consolidato l’ingaggio con la Yamaha France e con la KTM, ma ci riproverà l’anno prossimo con la moto) il ruolo di prima guida della squadra italiana è passato di diritto a Fabrizio Meoni. Quest’anno é finalmente diventato un “ufficiale”, ed esattamente nella squadra KTM insieme a Heinz Kinigadner,
Thierry Magnaldi e Richard Sainct. Ma già il 2° giorno il nostro pilota toscano volava su una delle numerosissime buche mentre cercava di agguantare Peterhansel. Risultato: frattura del metacarpo, lesione dei legamenti e forzato abbandono dalla gara. Gli altri forti Italiani come Maletti non sono arrivati al traguardo. Onore a Sanna, un sardo determinato, duro e orgoglioso come la sua terra, e primo (22° assoluto) trai nostri piloti.
Tratto da un’articolo su Motociclismo