Claudio Torri Dakar 1985

Claudio Torri alla Paris Dakar 1985, come si legge dagli articoli di giornale dell’epoca la moto è MotoGuzzi Ritaglio-1985di serie, modificando esclusivamente lo scarico e il serbatoio per l’occasione realizzato da Acerbis in alluminio.
Claudio Torri vede sfumare il sogno di arrivare a Dakar perché la sua batteria andò a pezzi costringendolo al ritiro.
Dobbiamo ricordare che in quell’occasione si autofinanziò, contribuendo al pagamento della moto e l’iscrizione alla gara partecipando senza avere neanche un meccanico al seguito, provvedendo quindi in prima persona alla manutezione della moto dopo ogni tappa.

Curiosità: oltre la moto ufficiale di Torri, sono state prodotte altre 15 Baja di colore rosso richieste dall’importatore francese,
mentre per le strade di Mandello da qualche anno si aggira una replica costruita dai meccanici Moto Guzzi esperti in repliche.

HONDA NXR 750 modellino Tamiya François Charliat

Dopo diversi articoli dedicati a moto stradali o da corsa, questa volta torniamo a parlare di fuoristrada estremo, in quanto la protagonista è la regina di questo tipo di gare, cioè la Parigi-Dakar. Il modello preso in esame è la Honda NXR 750, vincitrice della maratona africana nel 1986 con francese Cyril Neveu. La moto, una bicilindrica raffreddata a liquido, realizzata appositamente per questo tipo di gare dalla HRC, il reparto corse della Casa del Sol Levante, sviluppava più di 70 cv ed è stata la prima moto raffreddata a liquido a vincere la durissima competizione africana. Il modello in scala 1:12 è realizzato dalla giapponese Tamiya.

All'interno del cupolino troviamo il cruscotto digitale con la bussola e il road-book inserito nel manubrio. Il telaio accoglie perfettamente il blocco motore con la marmitta e i vari manicotti.

All’interno del cupolino troviamo il cruscotto digitale con la bussola e il road-book inserito nel manubrio. Il telaio accoglie perfettamente il blocco motore con la marmitta e i vari manicotti.

Iniziamo il montaggio dopo aver studiato vari pezzi che compongono la scatola di montaggio. Come sempre la qualità è elevata, con stampate ben rifinite ed esenti da bave di lavorazione, e con particolari in metallo, come la molla dell’ammortizzatore posteriore e la griglia di protezione dei fanali anteriori in lamierino fotoinciso. Seguendo le indicazioni sulla verniciatura delle varie parti del motore, iniziamo il montaggio con l’inserimento dei vari cavi e manicotti a corredo. Il telaio, in due pezzi, accoglie perfettamente il blocco motore al quale vengono aggiunti le marmitte e gli ultimi accessori che lo completano.

Utili le indicazioni per tagliare perfettamente su misura vari tubi realizzati in due diversi diametri per differenziare in questo modo cavi dai manicotti. A questo punto passiamo al montaggio della ciclistica iniziando dal forcellone posteriore. La catena è realizzata in un pezzo unico e comprende anche la corona. Per quanto riguarda le ruote, bisogna assicurarsi che le due metà dei cerchi siano ben incollate e che la colla abbia fatto presa prima di montare il pneumatico, onde evitare che il cerchio possa aprirsi. L’ammortizzatore posteriore, pur essendo fisso, è composto da alcuni pezzi che lo rendono molto fedele all’originale. Iniziando il montaggio delle sovrastrutture bisogna provvedere alla colorazione di alcuni particolari.

Anche per la Honda NXR 750, riprodotta in scala 1.12 dalla Tamiya, la qualità dei vari componenti è elevata. Le stampate sono infatti ben rifinite. Diversi i particolari in metallo, tra i quali la molla dell’ammortizzatore posteriore.

Poiché la fascia dorata di divisione è realizzata tramite decalcomania è sufficiente colorare la zona blu estendendola un paio di millimetri oltre la decal affinché quest’ultima sormonti il colore e quindi dia una linea di unione perfetta. Un consiglio: assicuratevi che il colore sia perfettamente asciutto prima di posizionare la decalcomania Il serbatoio supplementare con inserito il codino è il primo pezzo di carrozzeria da montare. Si passa poi al montaggio dei radiatori con il telaio di supporto e lo si completa con l’inserimento dei vari manicotti.

Il serbatoio diviso a metà è l’altro componente di carrozzeria che si affronta prima di passare al montaggio della forcella, con relativa ruota anteriore Sella e targhe porta numero laterali completano il montaggio della zona posteriore. All’interno del cupolino trovano posto, inseriti in un apposito telaio di supporto, il gruppo ottico a doppio faro e il cruscotto digitale con la bussola. Il road-book è inserito nel manubrio e va completato con il foglio stampato nelle istruzioni che riproduce fedelmente alcune note del per-corso. Il montaggio del cupolino è l’ultima operazione per completare il nostro modello. Il lucido protettivo per le decalcomanie (che le rende uniformi con le zone verniciate) è il tocco finale per questa Honda NXR 750 che ricorda le ampie distese di sabbia, le dune e il fascino dei grandi raid africani.

CARLOS MAS modellino della Dakar 1990

Tratto da un articolo di Motociclismo

Sull’onda della Dakar molti appassionati di collezionismo si sono cimentati nella creazione di veri e propri prototipi che le grandi case di modellismo non avevano messo a catalogo. Questa XTZ 740 è nata dalla voglia di riprodurre e far rivivere in scala ridotta la sfida ai grandi spazi di sabbia che hanno fatto la storia del motociclismo.

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Questa volta abbiamo voluto realizzare la moto del secondo classificato di quell’anno, lo spagnolo Carlos Mas. La moto è una Yamaha YZE 750, nel colore rosso dello sponsor spagnolo Camper. Dopo esserci documentati con foto tratte dai vari giornali, abbiamo cominciato la lavora-zione La base di partenza è stata la Yamaha 660 Chesterfield della Protar in scala 1:9, preferita a a sorella Yamaha 660 Ténéré, in quanto già dotata del freno posteriore a disco. La principale modifica da apportare e che ha richiesto numerose ore di lavoro è stata effettuata sul motore e sul telaio.

Mas05Mentre il modello di partenza è un monocilindrico con telaio a culla chiusa centrale, quello da realizzare è un bicilindrico con telaio a doppia culla aperta. Per il motore abbiamo mantenuto lo stesso basamento, modificando il piano di accoppiamento coi cilindri affinché questi ultimi risultassero più inclinati in avanti; questi sono stati ottenuti partendo da due teste-cilindri Mas03complete del mono, limate per 1/3, una nel lato destro, l’altra nel lato sinistro; incollandole insieme abbiamo così ottenuto un corpo largo 4/3 rispetto al mono originale, mantenendo le luci esistenti di aspirazione e di scarico. Dopo aver asportato la culla centrale del telaio, abbiamo posizionato il motore e provveduto, con dei tubi quadri di plastica, a ricostruire le due culle, partendo dalla triangolatura del cannotto di sterzo.

Il montaggio dei radiatori, acqua e olio con rispettivi manicotti, dei carburatori con relative valvole, della pompa benzina, dei condotti d’aspirazione e la verniciatura di tutti particolari, comprese le viti e i dadi del motore, hanno completato la parte relativa al motore. Lateralmente al triangolo di rinforzo abbiamo posizionato le due bobine, una per ogni candela. Per gli attacchi testa-motore abbiamo utilizzato dei supporti alettoni di auto adattati al profilo originale. Forcella, forcellone e ammortizzatore non hanno subìto modifiche se non quelle relative alla verniciatura di ogni particolare.

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Al serbatoio sotto sella è stato modificato il profilo nella parte posteriore, completata con l’aggiunta del parafango prelevato dalla Cagiva Elefant, della stessa scala e sempre della Protar A questo punto abbiamo realizzato gli scarichi. Per il silenziatore è stata utilizzata una borraccia appartenente a modello BMW 1000, sempre Protar, aggiungendo la fascetta per il fissaggio al telaio, ottenuta tagliando e piegando una striscia di lamierino di un tubetto di maionese. Per l’entrata sdoppiata del silenziatore si è sfruttato un pezzo dello scarico originale, mentre rimanenti collettori sono stati realizzati infilando del filo di piombo dentro un tubo di gomma del diametro necessario e piegato.

Il serbatoio e il cupolino hanno subìto un allargamento generale per contenere nuovo motore e abbiamo realizzato gli sfoghi Mas06per l’aria ai lati del cupolino stesso. Il parafango anteriore è stato accorciato nella zona posteriore. Il paracoppa modificato è di derivazione Cagiva Elefant, mentre la sella è stata rivestita con pelle e scamosciata, entrambi di colore rosso. Il montaggio dei vari particolari, luci di posizione supplementari, tappi serbatoi con sfiati, il road-book sul manubrio e una borsa porta-attrezzi nella zona dietro la sella hanno completato il montaggio. La realizzazione e il fissaggio delle varie scritte, immancabile mano di protettivo lucido ed ecco che la nostra special è pronta per affrontare le insidie dei deserti.

Gilera RC 600 Dakar 1991

Che la Gilera RC 600 fosse una buona moto nessuno ne dubitava. La vittoria nell’edizione precedente e l’ottavo posto assoluto (davanti a sé esclusivamente sofisticati prototipi), costituivano un ottimo biglietto da visita per la monocilindrica di Arcore. La Gilera e Medardo sono andati oltre alle attese con una prestazione assai vicina a quella dei prototipi. Con soli 560 centimetri cubi, la RC è riuscita in tante occasioni a man-tenere il forte ritmo imposto dai bicilindrici e Medardo ha anche vinto la tappa del 5 gennaio da Ghat a Tumu, la “speciale” più lunga della Parigi-Dakar.

Non tutto è andato benissimo per la Gilera: le rotture del serbatoio posteriore troppo pieno di carburante e mal fissato, alberino d’avviamento rotto sulla moto di Mandelli che ha richiesto la sostituzione del motore (automatico il cambio di categoria) e un’accensione sperimentale che ha fatto le bizze al momento di avviare i motori, oltre ad un ammortizzatore distrutto da Medardo. Alla Gilera sono però soddisfatti anche perché ritengono che la Dakar sia di grande aiuto per la produzione di serie.

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L’ing. Federico Martini
, responsabile tecnico, è assolutamente convinto della validità della formula Silhouette della Dakar. Il fatto che ci ha spinto a gareggiare nella maratona africana e in particolare in questa categoria, è costituito dallo specifico regolamento. Correre tutta la Dakar senza cambiare motore e telaio costituisce un messaggio di affidabilità assoluta verso il pubblico. Un motore che resiste a più di diecimila chilometri di continue torture senza problemi, rappresenta una garanzia per un propulsore di serie.

Nella categoria Silhouette motore e telaio sono di serie mentre il resto può essere cambiato. Per migliorare il raffreddamento abbiamo utilizzato radiatori più grossi con uno scambio termico superiore del 30%. La centralina sino a metà gara era diversa da quella montata sulla RC 600; un’accensione che dava pochissimi vantaggi in fatto di potenza ma che era utile per diminuire le emissioni inquinanti. Può apparire strano montare una simile accensione senza in sostanza ricavare dei vantaggi ma anche questa scelta è fatta in previsione di un utilizzo sulla RC di serie Se l’accensione resiste alla Dakar vuol dire che andrà bene in tutte le altre condizioni.

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L’abbiamo sostituita da metà corsa in poi una volta acquisiti i dati di affidabilità. I problemi elettrici sono venuti da un’errata scelta di batterie e da un impianto elettrico che durante i test era perfetto, mentre in Africa non si è rivelato tale. Questa particolare centralina determina l’anticipo d’accensione secondo il numero dei giri e la diversità di pressione all’interno dei condotti d’aspirazione. a valle della valvola a farfalla del carburatore a depressione. — Dove è stata modificata la moto rispetto a quella della precedente Dakar? La gara dello scorso anno ci aveva dato importanti indicazioni: eravamo a posto come motore e telaio, mentre la maneggevolezza doveva essere migliorata. Poiché eravamo sicuri in termine di affidabilità del motore, ci siamo spinti a incrementarne le prestazioni. Abbiamo ripreso le modifiche introdotte sul propulsore di serie del RC 91.

Nuovi alberi a camme più spinti, pistone dal disegno rivisto, valvole maggiorate e carburatori di maggior diametro (30 mm). Abbiamo lavo-rato molto sugli impianti di aspirazione e scarico per estrarre dal motore tutto il suo potenziale. Nonostante il rapporto di compressione sia stato abbassato per usare benzine a basso numero di ottano, abbiamo riscontrato sette cavalli in più rispetto alla moto precedente. Ora siamo sui sessanta cavalli all’albero con un consumo che varia moltissimo secondo le condizioni del terreno di gara. Si va da un massimo di 6,5 litri sulla sabbia molle sino ai 9 del terreno duro. Non consuma poco, è vero! Un monocilindrico deve essere sempre spremuto al massimo per rimanere vicino alle prestazioni dei bicilindrici e quindi acceleratore sempre tutto aperto; condizioni estreme anche per il consumo. In totale la capacità dei serbatoi è stata aumentata a quasi sessanta litri, dieci in meno dei bicilindrici.

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Non è un gran vantaggio. È un po’ leggenda il dire che il mono sia più facile e leggero dei bicilindrici. La differenza di peso è al massimo di dieci chili a favore del mono e quindi non è rilevantissima. Per migliorare la maneggevolezza e la facilità di guida abbiamo rivisto la distribuzione dei pesi e il posizionamento dei serbatoi carburante. Le sospensioni sono nuove, le Kayaba giapponesi, montate anche sulla RC-A di serie. L’ammortizzatore è proprio quello standard modificato solo in tre lamelle interne per adeguarlo al maggiore peso della moto dakariana, per alleggerire il quale abbiamo usato qualche materiale leggero” ma niente di speciale. Tessuti di kevlar e carbonio per la carenatura – RC17serbatoio posteriore e per il cupolino, titanio per i fissaggi della sospensione posteriore del motore e le pedane. Ergal per i mozzi ricavati dal “pieno”.

Inoltre abbiamo rotto, ed anche questo inconveniente ce lo aspettavamo, il trave anteriore dove si fissa il motore. Fra previsto e subito lo abbiamo risolto, poiché per aumentare la luce da terra abbiamo tolto il telaietto che passa sotto il motore. In questo modo il propulsore lavora effettivamente come elemento stressato solle-citando il telaio. Per questo motivo abbiamo irrobustito i tiranti del motore aumentando-ne il diametro sino a 10 mm, rinforzando contemporaneamente le alette di attacco sul motore. Non abbiamo rotto più tiranti e carter motore, carne invece succedeva lo scorso anno; per contro ha cestito con una piccola crepa il telaio. Questo ci ha fatto capire che il motore può lavorare come elemento stressato e probabilmente useremo la stessa soluzione anche in serie, strutturando debitamente il trave anteriore del telaio Ed anche questa è un’altra efficace informazione da riportare sulla produzione di serie.

Altre rotture sono state quelle dei serbatoi posteriori in materiale composito. Erano tutti pezzi nuovi, finiti in pratica il giorno prima della partenza i serbatoi hanno avuto problemi di tipo meccanico. La sospensione posteriore tamponava un po’ troppo, tanto da far toccare la pinza del freno a disco con la parte interiore dei serbatoi. In fase di progetto avevamo previsto un gioco di 20 mm tra pinza e serbatoio ad escursione completa della ruota posteriore. Nei tamponamenti più decisi la pinza toccava; con inevitabili rotture. Questo vuol dire che sia il forcellone sia il telaietto che li sorregge cedevano, si piegavano leggermente. Modificata la taratura delle sospensioni, il problema è scomparso. Per contro è diminuito il comfort dei piloti e le moto saltavano un po’ troppo sulle buche.

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Si sono evidenziate delle piccole crepe sui serbatoi anteriori in alluminio a causa delle numerose saldature, la carrozzeria si rotta è rotta solo per le cadute, mentre non riusciamo a spiegare il motivo della rottura dell’albero di avviamento di Mandelli, perché proprio questo particolare era stato analizzalo a fondo. E’ stato cambiato anche il motore a Sotelo, perché si era bruciata la frizione per mancanza di gioco alla leva. Tutto il materiale di attrito dei dischi si é sparso nel motore ed un pezzo è andato a bloccare la valvola di sovrapressione del circuito di lubrificazione. Risultato: cotto bronzina sulla lesta di bella. Per il resto nessun altro problema meccanico ad eccezione della vaschetta dell’ammortizzatore frettolosamente fissato sulla moto di Medardo. —

La vostra moto esteticamente era la più riusata. tra tutte quelle che hanno corso, e forse anche la più aerodinamica.
«Si abbiamo curato molto l’estetica ma anche la protettività del pilota. Siamo partiti date dimensioni della scatola filtro, e abbiamo costruito intorno tutta la moto. Abbiamo cercato di proteggere I pilota per dargli un maggiore comfort. Meno si è stanchi, più forte si va e si commettono minori errori. La moto doveva essere la più Piccola possibile compatibilmente con le dimensioni del pilota. L’altezza del cupolino e quella de: plexiglass ha avuto come unico scopo quello di proteggere dalla pressione dell’aria il pilota Abbiamo invece scelto i fari omofocali per abbassare tutta la zona del cruscotto e la strumentazione, e garantire una maggiore visibilità. Inoltre questi fari assicuravano anche una migliore luminosità e quindi più sicurezza a chi rimaneva di notte nel deserto. La forma posteriore è dovuta al compromesso tra la maggiore capienza possibile e il minore ingombro per le gambe del pilota. Nel codone era posta la bussola, ed una batteria di soccorso. La forma dell’intera carenatura è stata studiata senza il conforto della galleria del vento. Ora proveremo la moto anche in queste condizioni; vogliamo essere pronti per tempo.

Si può quantificare il costo delta operazione Dakar?
Solo di materiale puro superiamo cento milioni per moto, ma tutta l’organizzazione ha ben altri e maggiori costi. Stiamo valutando se è possibile costruire un piccolo numero di repliche della RC Dakar. La cifra dovrebbe aggirarsi sui sessanta milioni e sarebbe comunque un prezzo politico. La differenza di costi sarà assorbita dalla fabbrica»

Sarete presenti anche nella prossima Dakar? «Sicuramente sì. Le condizioni che si incontrano alla Parigi-Dakar sono praticamente irripetibili, sia strumentalmente sia nelle normali condizioni di collaudo delle moto. Con la gara africana possiamo verificare molte parti della moto di serie» anche se la prossima Gilera RC non gareggerà più nella Silhouette. Costruiremo un prototipo con una cilindrata vicina ai 650 cc anche se probabilmente l’affidabilità non sarà più garantita al cento per cento».

Fonte Motociclismo Aprile 1991

Dakar 86 – Il diario di Aldo Winkler

Dopo lunghi preparativi e tante emozioni, un mucchio di tempo rubato al lavoro che però non è stato sufficiente soprattutto per definire i dettagli sulla moto. Partenza per Parigi arrivo a Rouen e disbrigo nella stessa città delle formalità amministrative della gara, trasferimento in moto a Versailles (che freddo) un piccolo episodio quando siamo partiti ci siamo dimenticati il fatto che faceva freddo e con í guanti da cross abbiamo dovuto fare questi 60 chilometri al gelo.

Tre chilometri di ghiaccio, impossibile stare in piedi. Prologo vinto da Poli che montò le gomme chiodate.

Tre chilometri di ghiaccio, impossibile stare in piedi. Prologo vinto da Poli che montò le gomme chiodate.

A Parigi una sosta di alcuni giorni permette di fare i rotolini, per inciso i rotolini sono il road book che viene dato sotto forma di libro per metterli dentro la scatola del note book bisogna accorciarne un foglio dopo l’altro per fare in maniera che  possano essere arrotolati e srotolati. Si cerca di riposare nonostante una grossa emozione e anche tensione che continua a salire. Il prologo a 60 chilometri (sotto la neve) si verifica una cosa bestiale, la moto è altissima senza averci fatto la minima mano si dimostra inguidabile. il prologo dura (3 km) si dimostra una cosa incredibile era una lastra di ghiaccio con rotaie di fango sotto dure, non si contano i voli non si stava in piedi che faticaccia la moto da nuova sembra già vecchia distrutta dai voli.

Aldo Winkler a sinistra, e Batti Grassotti i protagonisti di questa avventura

Aldo Winkler a sinistra, e Batti Grassotti i protagonisti di questa avventura

Dopo un capodanno non eccezionale perché è un po’ la tensione un po’ la compagnia, aleggiava l’ansia della partenza. Il primo di gennaio un freddo intenso alla partenza, sono molto emozionato quasi spaventato quando parto non ho neppure il coraggio di voltarmi per salutare Paoletta, avevo il timore di non riuscire più a partire. I primi chilometri li faccio con Batti (Grassotti il suo compagni di Team ndr), sotto un freddo pungente che non ci si spiega come si possa andare in moto. La partenza da Parigi è una cosa emozionantissima sembra di percorrere un cordone umano da Parigi a Sete, tutti che ti salutano e festeggiano, purtroppo la fretta di arrivare guasta questa possibilità di entrare in contatto con questo entusiasmo. I primi problemi il freddo e la pioggia impediscono al motore di funzionare bene. Si spegne di continuo, scoppietta e non va per niente bene. Questo fatto mi crea ansia incredibile e mi aspetto di fermarmi in qualsiasi momento. Ad un certo punto la moto si spegne e Batti non si accorge della mia fermata. Cerco di raggiungerlo viaggiando da solo fino al Sete (anche lui ebbe dei problemi e al buio non lo vidi). Mi prende una nostalgia come non mai mi è presa, vorrei Paoletta e dall’emozione piango sotto al casco. Cerco qualcosa per poter scriverle e dirle che la amo ma non lo trovo. Nel frattempo un giapponese sulla moto il numero 2 (Yasuo Kaneko ndr) viene colpito in pieno da una macchina e muore sul colpo, vedere l’incidente e pensare che poteva succedere a me mi reggeva ulteriormente, ma subito bisogna cancellare quest’idea altrimenti non si riparte più.

aldo7Arrivo a Sete alle 2 del mattino (eravamo partiti alle 8 del giorno prima) imbarchiamo la moto dopo mille difficoltà. Non troviamo Grisoglio (la nostra assistenza ndr) con la nostra roba e finalmente alle 3 andiamo a dormire. Naturalmente ad Algeri dopo interminabili code burocratiche partiamo alle 6 di sera ed è quasi buio, ci aspettano 700 chilometri di trasgerimento. Piove e fa freddo, siamo bagnati fradici, su una strada fatta tutta di curve di montagna con asfalto nero senza strisce dove non si vedeva nulla. Batti andava meglio di me e mi accodo a lui anche se non vedevo comunque nulla. Per fortuna la strada migliora con i chilometri e non piove più, arriviamo alle 2 del mattino e dormiamo per terra. L’ansia della moto che non funziona bene continua.

Prima tappa ore 6.00 la partenza. Partiamo in ordine inverso e questo si verifica in tutta l’Algeria. Chi è a metà classifica è fregato, perché deve superare i primi che sono lenti e viene superato dagli ultimi che sono veloci, risultato viaggi costantemente nella polvere. Tutto bene fino a quando rompo il trip master. Naturalmente mi perdo in una pianura di piccole dune di sabbia piene di migliaia di tracce in tutte le direzioni. Mi raggiunge Gilles Picard, lo seguo, poi vedo Picco ma continuo a perdermi sempre di più. Mi consola il fatto che dopo poco tempo formiamo un gruppo di in una trentina tra i quali i più forti in cerca della pista giusta. Il primo contatto con il road book è sgradevole troppe note con chilometri sbagliati e pochi disegni e tanto testo in francese. Il primo contatto con l’Africa Tour non è male, si mangia bene e non si fa troppa coda ma non danno l’acqua!

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Seconda tappa: mi scoppia l’ammortizzatore e i molti fondo corsa indeboliscono il telaio. Raggiungo comunque lnsah e qui mi lavo in albergo nella stanza di Boano. La pista con molte buche e pietre con tratti veloci, lnsalah-Tam due speciali una veloce, mi raggiungono le macchine, non si vede nulla. E’ veramente pericoloso perché nella polvere quando vieni superato hai quei 200 metri in cui corri nel nulla, un’angoscia. Vedi passare di fianco a te massi enormi, voragini e pensi “bastava 1 metro in là e adesso chissà dove ero”? Seconda speciale fatta con Batti, lo aspetto perché rompe il giunto è finiamo la speciale con i motori che rattano e non vanno quasi più.

Il rapporto che di instaura con la propria moto diventa quasi mistico, gli parli, la supplichi, le fai confidenze. Diventa una compagna con cui condividi la natura e tutte le sue espressioni.

Nel trasferimento a Tam mi scoppia la mousse, ci fermiamo ad un bar, ma procediamo per fare sciogliere ulteriormente la mousse. L’asfalto è pessimo, intervallato da una pista bruttissima piena di fesh fesh (sabbia impalpabile) con grosse rotaie sotto provocate dal passaggio dei camion. Ad un certo punto non vedo più Batti e nonostante la mousse nei pezzi, torno indietro per una decina di chilometri alla sua ricerca, pensando che fosse caduto. Non lo vedo. Torno in direzione Tam. Avendo sempre il rimorso che Batti, sapendo che avevo forato, non mi avrebbe abbandonato. Ripensando a quei dieci chilometri rifatti alla sua ricerca, al fatto che non lo avevo trovato. Cambio la gomma e proprio mentre gonfio la camera d’aria, per fortuna l’assistenza arriva e cambio ruota riparto manetta, mancano ancora 150 km. Si fa buio e si rompono pure i fari, e proseguo al buio con le luci delle stelle, e arrivo in tarda notte in tempo per non prendermi la forfettaria a Tamarasset.

In albergo trovo Batti, e non c’è nemmeno il tempo per lavarsi. Tappa Tam Tam sull’Assecrèm mi trovo bene nelle pietre. Mi procuro uno spavento incredibile per passare nella polvere un avversario, esco di pista e passo in un punto con pietre grandi a manetta e mi faccio un volo. In aria si spegne la moto e casco in piedi. Grazia divina! Ho rotto il dado che tiene l’ammortizzatore al telaio, l’asta del freno ha sfondato la marmitta. Finisco lentamente la tappa continuando a non sfruttare in motore, soffro parecchio nei sorpassi dopo quello spavento.

"Ero talmente disperato che l'avventura fosse finita, pregavo che l'assistenza arrivasse. Armando sostitui il motore e ripartii per i restanti 600 km, la notte mi aspettava...

“Ero talmente disperato che l’avventura fosse finita, pregavo che l’assistenza arrivasse. Armando sostitui il motore e ripartii per i restanti 600 km, la notte mi aspettava…”

Tam Agades, partenza in un grande fiume prosciugato pieno di sabbia molle, il motore cala e si indurisce, continuo fino ad un pezzo di pista dura dove mollo un attimo. Si spegne il motore. Sono fermo, e comincio a smontare a rimontare per farla partire, sudo tutta l’acqua in corpo, non mi rimane altro che smontare il motore sperando che arrivi l’assistenza. Che arriva verso le 5.30 dopo aver aspettato per sei ore fra un misto di disperazione, rassegnazione e incazzatura. Ore di fuoco. cambio motore e riparto spaventato di trovarmi nel deserto di notte, non sapendo dove andare, passo il confine con il Niger, faccio il pieno da una autobotte in pieno deserto. Continuo e mi perdo. Non vedo più tracce e sono fuori pista tra rocce pietre e sabbia molle. Prendo il monocolo e vedo delle luci mi dirigo verso quella direzione e trovo delle macchine insabbiate. Ritrovo fiducia e con questa anche la pista, riparto ma mi mancano ancora 600 km all’arrivo. Mi preoccupo di rimanere sempre sulle tracce per non perdermi. La pista era un misto di fech fech, sabbia molle e rotaie dure dovuto al fatto che tutto rally era già passato compresi i camion. Naturalmente riduco la velocità, la poca visibilità l’altezza della moto, la pista sono un insieme impressionante di difficoltà. Le cadute non si contano più, ogni caduta si fa sempre piacere fatica a rialzare, falla ripartire poi, che fatica!

"Ero stanchissimo, ma mi godevo comunque il mitico Ténéré..."

“Ero stanchissimo, ma mi godevo comunque il mitico Ténéré…”

La stanchezza mi assale e mi fermo al camion Belgarda in panne e dormo un per recuperare energie. Arriva di nuovo l’assistenza, ripartiamo e mi rincuorano standomi dietro, mi fanno luce e quando cado mi aiutano a rialzarmi. Non ce la faccio più, per un po’ di km guida Ciaudano (dell’assistenza ndr) ma riprendo la moto in tempo per fare gli ultimi 150 chilometri di asfalto a manetta per arrivare in tempo alle otto e non prendere la penalità. Alle 8.30 riparto per la speciale, l’assistenza la vedo solo per un minuto, sono sconvolto e non prendo nulla. Purtroppo sarà l’ultima volta che la vedrò. La tappa del Ténéré sarà una cosa impressionante ma bellissima, si è in soggezione al cospetto del grande deserto, ma la tappa la trovo facile. Ma il motore si indurisce di nuovo. Mi fermo e lo lascio raffreddare, tiro l’aria e riparto andando piano con l’angoscia che si spacchi e che mi lasci a piedi. Al minimo rumore rimango terrorizzato, parlo alla moto, la prego di continuare, faendo gli ultimi 150 chilometri al buio fino a quando per fortuna vedo le luci di alcune auto che mi indicano la strada.

Nel frattempo ho rotto il giunto della catena, ma con sorpresa riesco ad aggiustare tutto bene con la massima

"JCO responsabile di Sonauto, gran pilota e gran signore. Una volta l'ho aiutai a disinsabbiare la sua moto, da allora anche se era in Speciale si fermava per chiedermi se era tutto ok"

“JCO responsabile di Sonauto, gran pilota e gran signore. Una volta l’ho aiutai a disinsabbiare la sua moto, da allora anche se era in Speciale si fermava per chiedermi se era tutto ok”

calma. Dormo per terra ma il freddo rimane ancora persistente. Ho male hai denti e ho le mani con profondi tagli per il freddo. Dirku-Agadem si rivela una tappa infame, dune trasversali segnalati da paletti di cui alcuni caduti. Il vento cancella le tracce, questa si rivela una tappa molto pericolosa, le dune a forma di onda alla sommità si interrompono bruscamente con pendii a volte perpendicolari. Non sapendolo le prime dune le ho saltate, facendo salti impressionanti. Infatti questa tappa provoca molti incidenti, Mercandelli si infortuna alla spalla, la Anquetil cade procurandosi un trauma alla spalla, alla mandibola, ai denti e agli zigomi. E’ drammatico vederla in un bagno di sangue. Beppe Gualini cade e si rompe i legamenti del ginocchio. Un camion Tatra si cappotta in avanti, e uno dei guidatori rimarrà paralizzato. Arrivo ad Agadem, che si rivela solo un forte militare in rovina in mezzo al deserto. Non arriva niente ne da mangiare, ne il sacco a pelo per via di un disguido. Con Batti vado ad un pozzo a 5 km e con la disperazione della sete bevo fregandomene di tutto.

Agadem – Zinder, anche questa tappa infame, lunghissima in un zig-zag di saliscendi di sabbia molle, il paesaggio da desertico lentamente si trasforma in Sahel 400 km fatti in pochissime ore. Finita la speciale ci aspettano altri 600 km di trasferimento. Qui vediamo Baron appena caduto su un tratto di asfalto brutto, purtroppo rimarrà coma irreversibile per anni a causa di questo incidente. Con Batti mi fermo a mangiare in un posto infame però mangiamo bene in dispetto al luogo e arriviamo la notte tardi. La mia moto comincia a consumare olio.

"Giornata di riposo a Naimei, in albergo con tutti i privati italiani per sistemare le moto".

“Giornata di riposo a Naimei, in albergo con tutti i privati italiani per sistemare le moto”.

Zinder – Niamei: lungo trasferimento tutto di pista per 600 km mangiando la polvere delle macchine che ci superano. Parto per la speciale ma alla partenza mi si rompe il cambio. La moto rimane in terza su una pista molto sabbiosa. Batti prosegue e la cosa non mi piace, io sarei stato dietro di lui per aiutarlo. Parto molto agitato e naturalmente cado di continuo. Si buca il serbatoio e perdo benzina come una fontana dal rubinetto. Mi rialzo più in fretta possibile dando calci al serbatoio nel tentativo di ripararlo alla meglio. Finisco la speciale e il trasferimento a Niamei di 200 km arrivo a notte fonda. Niamei giorno di riposo, trovo da saldare il telaio e perdo l’ultima speranza di arrivare in fondo perché speravamo che l’assistenza arrivasse. Ci aspetta una notte di fuoco, non ho dormito per via delle zanzare che ci hanno mangiato vivo. Al mattino avevamo le mani e la faccia gonfie dalle punture. La Dakar non ha pietà: partenza alle 4 del mattino.

Alcuni momenti immortalati della Dakar 1986. Nella foto in alto la grande Veronique Anquetil.

Alcuni momenti immortalati della Dakar 1986. Nella foto in alto la grande Veronique Anquetil.

Sconvolti dalla notte precedente ci aspetta una speciale di 450 km. Mi perdo quasi subito e mi trovo completamente solo senza tracce in un paesaggio terribile di arbusti, collinette e guadi,  con spaccature enormi. Per fortuna trovo una macchina con un motociclista giapponese e in loro compagnia la disperazione non prende il sopravvento. Seguendo Zaniroli troviamo la pista ma l’orientamento è molto difficile. Trovi macchine in direzione opposta alla tua, che alimentano i tuoi dubbi. Nella savana bisogna seguire le tracce, ma a volte è impossibile neppure i camion lasciano tracce, piegano gli arbusti e loro si raddrizzano come nulla fosse. Non ho più il road book da Agades perché erano erano sul camion assistenza che non è mai arrivato. Arrivo a fine tappa che è notte e gli ultimi chilometri  a manetta per paura del buio, ma cado parecchie volte. Mi ritrovo a chiedere a tutti l’acqua.

All’arrivo della speciale vedo Batti anche lui distrutto a tal punto che gli devo far partire la moto. Ci aspettano ancora 120 km di trasferimento e 160 di speciale che facciamo affiancati, quasi impauriti. Percorriamo quasi un chilometro alla volta, e cadendo a turno facciamo tutti 120 chilometri. Arriviamo a Gourmararus alle 2 del mattino, qui tutti sono sconvolti. L’elicottero di Sabine è precipitato ed è morto con altre quattro persone. Siamo tutti stravolti. Ci fanno partire al mattino alle 10 per fare 1100 km fino a Bamako di cui 160 di pista. Qui vedo l’elicottero precipitato, era ridotto ad un metro cubo di metallo! Arriviamo a Bamako alle 3 di notte, stravolti e la fretta di arrivare ci fa tirare sull’asfalto.

Sfioro una mucca in mezzo alla strada che colpisco di striscio con la spalla. Mi sono visto il corno in gola. Dopo questo spavento rallento e perdo Batti, il mio fanale è insufficiente anche perché la seconda lampada I’ho data a lui.

Nella speranza di raggiungere Batti riaccellero. Non faccio a tempo da riprendermi dello spavento della mucca che mi vedo un tir senza luci e senza rifrangenti fermo in mezzo alla strada. Grosso spaventoma ormai ci ho fatto l’abitudine. Come al solito arrivo a notte inoltrata. Poche ore di sonno e sono di nuovo sveglio per partire. 60 km di trasferimento e 700 km di speciale e di nuovo 300 di trasferimento di pista. Ormai siamo scoraggiati. Batti non vuole più partire, l’organizzazione è nel pallone, C’è poca assistenza medica e due elicotteri in meno. Parto e inizio la speciale alle 10. La pista è lenta da 40 kmh di media, curve, rotaie, buche, sabbia, nella savana. Il posto è bello, ma sono indeciso se continuare! Mi fermo, mangio e riparto, Batti arriva ma era completamente nel pallone, andava forte si schiantava. Basta, decide di ritirarsi.

Boano con il suo meccanico "Garino".

Boano con il suo meccanico “Garino”.

Con Boano e Germanetti siamo gli unici italiani rimasti in gara, ci rincuoriamo e andiamo avanti. Ci rialziamo quando cadiamo, ormai non ci si può più fermare. Siamo in mezzo al nulla. La pista è terribile, lenta e piena di pietre in mezzo alla foresta. Quasi all’imbrunire buco la ruota posteriore, tento di ripararla ma non ci riesco. La rimonto e cerco assistenza in un piccolo villaggio. Centinaia di persone mi attorniano. Sembra incredibile che così tante persone possano abitare in quattro capanne di legno e fieno. Mi aiutano e riesco a ripartire. Dopo poco tempo la mousse davanti cede e la moto diventa inguidabile oltre al fatto che nel frattempo è sceso il buio. Incontro un pilota con una gamba rotta lo rincuoro arrivata l’assistenza riparto.

Sono in una foresta con vegetazione molto fitta, e la pista è veramente brutta, pietre, scoli d’acqua molto profondi con la risalita con polvere finissima che non ti permette di vedere le pietre sotto. Caratteristici sono i ponti fatti con quattro assi, se preferisci c’è la deviazione e si passa nell’acqua con grosse pietre. Il buio e la tensione non mi permette di gustarmi così tanta meraviglia. in un guado rimango intrappolato perché sbaglio la risalita. Quando la vedo non riesco a imboccarla bene perché c’erano dei solchi profondi provocati dai camion. Con il fango alle ginocchia e la moto piantata fino alle ruote quasi impennata la sposto di forza e finisco le ultime energie. La metto in posizione verticale e dopo infinite scalciate riparte e a spinta mi tolgo dalla morsa del fango. Nel frattempo la catena si era allungata a tal punto che girava su quel povero pignone ormai logoro.

Batti Grassotti immortalato a Bamako, dopo un trasferimento demenziale.

Batti Grassotti immortalato a Bamako, dopo un trasferimento demenziale.

Proseguo ma si incrociano gli occhi per la stanchezza, cado e rimango sotto la moto senza la forza di tirarmi su, con il piede sotto la moto. Aspetto in quella posizione un bel po’ di tempo fino a quando fortunatamente passa un’assistenza della Cagiva e mi mettono in piedi. Riparto ma poco dopo mi fermo ormai stremato e dico addio alla gara, e mi butto per terra a dormire. Dopo un po’ di tempo il freddo mi sveglia e riparto, sempre con la mousse anteriore andata. Arrivo a Labe all’una del pomeriggio, e li sento la lieta notizia, era giorno di riposo e la gara è stata interrotta, L’indomani posso ripartire, sono ancora in gara. Partenza alle 8 mi aspettano 250 km di mulattiera incredibile, peggio dell’Assecrem, pietre, rotaie di scoli d’acqua e salite discese ripide. Se fossi stato in Italia neanche con una moto da trial l’avrei fatto quel pezzo.

Gran Hotel Dakar :D

Gran Hotel Dakar 😀

Faccio quasi 600 metri sul bordo del precipizio, su una strisciolina larga 20 centimetri.  Per fortuna finiscono anche quei chilometri e la speciale sucessiva sta per iniziare. Infatti dopo il confine mi aspetta un’altra di 400 km. Con sorpresa noto che dopo 200 km sono rimasto senza olio! Ormai il motore va a olio e un po’ di benzina, non riesce ad andare neppure agli alti regimi. Parto per la seconda speciale, ma non ci sono con la testa, sbaglio molto e  faccio molti dritti sbagliando strada. Dopo poco perdo la percezione della mia velocità, mi sembra di andare piano invece andavo fortissimo. Prendo una buca e poi un’altra, cappotto in avanti, faccio un volo di sei metri e rimango in aria per un’infinità di tempo. Svengo. Appena ripreso vedo la moto distrutta con un rubinetto della benzina divelto. La stendo dal lato opposto in modo da non perdere altra benzina e cerco di sistemare la perdita. Sono sconvolto, stravolto, dolorante e terrorizzato. Senza luci, con ancora molti chilometri da fare al buio.

"Ci sono momenti in cui si procede per inerzia, l'isitnto di sopravvivenza è il sentimento che ti porta avanti..."

“Ci sono momenti in cui si procede per inerzia, l’isitnto di sopravvivenza è il sentimento che ti porta avanti…”

Mi rimetto in sesto e riparto nel tentativo di arrivare a fine tappa con la luce. Faccio altri 20 km altra buca, altra cappottata ma questa volta mi ritrovo con la moto a ben 12 metri dalla buca. Stavolta mi sono anche fatto male, per fortuna nulla di rotto, ma ti dolori ci sono. Ripensandoci mi vengono i brividi. Ormai la moto è distrutta, tutta storta, perdo i sensi due volte e mi esce il sangue dal naso. Riprendo i sensi dopo parecchio tempo. Mi riprendo e il primo desiderio è di arrivare alla fine. Faccio quello che posso ormai è una sfida con me stesso e con la mia forza di volontà. Avanzo a passo di lumaca fino ad un villaggio, dove chiedo della benzina per finire la tappa,  pago 10 litri  40 dollari, sempre meno dei 500 franchi che volevano. Mi mancano ancora 150 km ma senza illuminazione procedere è praticamente impossibile. Mi metto in mezzo alla strada e fermo tutti chiedendo di starmi dietro per illuminarmi la strada. Dopo aver ricevuto il rifiuto di quasi una ventina di auto, trovo dei partecipanti peruviani che accettano a patto di andare forte perché sono in speciale e non vogliono perdere posizioni.

"Il deserto ti presenta tante tipologie di difficoltà: dalla sabbia alle dune, dalle rocce al fech fech..."

“Il deserto ti presenta tante tipologie di difficoltà: dalla sabbia alle dune, dalle rocce al fech fech…”

Faccio quello che posso prendendomi dei  rischi notevoli con una moto praticamente inguidabile. Arrivo alle 22 e incredibilmente non ho neppure preso la forfettaria, ma appena mi fermo crollo e di botto sento il dolore. Chiedo a Giorgio di ripararmi la moto e vado a dormire, logicamente sempre per terra. Al mattino successivo Giorgio mi dice di non riuscire a riparare la moto e così come è ridotta non ha senso  continuare. Insisto, ma non c’è nulla da fare, abbandono la corsa, ma ancora non me ne faccio una ragione. Prendo tre razioni di Africa Tour e vado alla stazione. Elargisco una mancia a ragazzo che mi dice cosa devo fare.  La burocrazia per trasportare la moto è una babele infinita, finalmente sembra essersi risolto tutto, devo solo aspettare il treno. Per fortuna vedo due italiani, che lavorano per la FAO, mi rassicurano e mi garantisco che porteranno a casa. Mi danno da mangiare e mi riportano alla stazione. Di forza carichiamo la moto su un treno merci puzzolente e pieno di pietre. Finalmente dormo e persino le pietre sembrano un letto comodo.

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Arrivato a destinazione scarico la moto aiutato da alcuni compagni di viaggio, trovo un taxi e incredibilmente la carico sul tetto. Il taxi era fetido, ma almeno mi ero rimesso in movimento. Scende la notte e il taxi si ferma al crocevia dell’ingresso della città di Dakar. Il tassista mi porta nella piazza che era anche la fermata dei bus e gentilmente mi offre un caffelatte in un bar frequentato da persone poco raccomandabili. Finalmente il tassista decide di ripartire e mi porta dove avevo prenotato I’hotel prima di partire, sperando che qualcuno fosse già arrivato.

Un piccolo rammarico, se fossi ripartito sarei arrivato in fondo. Infatti la tappa che partiva da Kaies venne annullata e I’organizzazione decise di evitare la Mauritania e andare in convoglio da Kaies a Sant Luis per poi fare la passerella all’arrivo. Mannaggia!

Fonte: pagina facebook di Aldo Winkler

Ténéré 4 cilindri per la Dakar

Una fredda mattina alla periferia di Parigi, un piccolo campo cross fuorimano, un pilota con gli sgargianti colori Sonauto, che si scalda i muscoli in vista della Dakar, caracollando in sella alla sua Yamaha “XT 600 Ténéré”: tutta normale, direte voi. Così sembra: ma sotto il gigantesco serbatoio della “Ténéré” batte un cuore che in comune con il propulsore monocilindrico della regina del deserto non ha proprio nulla. Si tratta infatti di un quattro cilindri raffreddato ad acqua, derivato dal motore venti valvole della “FZ 750”.

È presto per dire se questa fantastica “750” sarà il primo gennaio ’86 al via delta leggendaria maratona africana, anche se la cura meticolosa dei particolari (ravvisabile pure nelle foto del nostro top secret) dimostrano chiaramente che non si tratta di

un semplice esperimento dell’importatore francese, ma di qualche cosa di più che non può non avere avuto il placet della Casa madre. Non dimentichiamo che la stessa “Ténéré” è nata proprio da una “idea” di Jean Claude Olivier, generai manager della Sonauto e testa di serie dei piloti Yamaha per la Parigi-Dakar.

Dunque, la nuova belva franco-nipponica, che TUTTOMOTO vi presenta qui in esclusiva, potrebbe essere l’arma vincente della Casa giapponese, ben decisa quest’anno a strappare alla BMW la corona di regina d’Africa. Quanto a potenza non si discute, da verificare però l’affidabilità nel deserto.

ll motore della “FZ 750” è stato notevolmente alleggerito e si è lavorato sugli alberi a camme per ridurre la potenza, aumentando nel contempo l’elasticità ai bassi e ai medi. La sospensione posteriore è monocross.

Senza segreto: realizzata per la Parigi Dakar, la “Tènéré” 4 cilindri offre numerose interessanti soluzioni, alcune intuibili osservando le foto del nostro “scoop”. Il telaio, per esempio, è quello della FZ, ridotto però in lunghezza.
I carburatori, in posizione elevata e ben protetta, ricevono la benzina tramite una pompa meccanica. Il gigantesco serbatoio è in pratica doppio e funge pure da protezione laterale per il radiatore del raffreddamento a liquido. L’insieme appare estremamente compatto e funzionale, adatto al fuoristrada.

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Testo TuttoMoto Enzo Caniatti

Franco Gualdi Team Cagiva Dakar 1988

Hai un minuto per raccontarci la tua Dakar?
Ero partito come assistenza veloce, io come del resto Picard, i nostri protetti erano Bacou e De Petri, a loro spettava l’onore di portare avanti in classifica le Cagiva; ad un certo punto De Petri ha avuto l’incidente, Bacou invece andava al di sotto di ogni aspettativa e quindi mi sono trovato di punto in bianco il meglio piazzato. Avevo accumulato molto ritardo per compiere il mio dovere nei giorni prima, e a quel punto an-che se avessi avuto lo spirito di buttarmi a mo’ di Kamikaze non avrei potuto concludere un gran che, per cui ho fatto la mia gara per giungere al-la fine senza danni, del resto anche psicologicamente non ero preparato a trasformarmi in uomo vincente, e tutto sommato il sesto posto mi appagava.

Hai trovato questa edizione veramente più dura delle precedenti?
Lo scorso anno ho vissuto ben poco della Dakar, sicuramente a mio avviso le prime tappe di questa edizione sono state molto più impegnative di quelle dello scorso anno. Dalla metà in poi direi che la difficoltà dei percorsi non mi è sembrata poi così incredibile, certo i chilometri da per-correre quotidianamente non erano pochi, ma a mio avviso non è stata una gara durissima.

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Come la vorresti in futuro?
L’assistenza medica è sicuramente la cosa che dovrebbe essere maggiormente curata e migliorata, per il resto la Paris-Dakar mi sembra debba essere così; sia il chilometraggio, che la durezza dei percorsi sono stati di mio gradimento, del resto se dovessero farla più facile perderebbe gran parte del fascino che esercita su tutti noi. Se fosse per me limiterei nei regolamenti le assistenze, adesso è permesso di tutto, cam-biare ogni pezzo della moto o delle macchine è una consuetudine ogni sera, invece a mio avviso limitando le sostituzioni a Dakar arriverebbero oltre ai piloti più bravi anche le moto più resi-stenti, naturalmente un regolamento del genere farebbe storcere il naso alle Case, ma questa è la mia idea personale.

La tua moto era perfetta o in che cosa avretri voluto in più o in meno?
Penso che tutti abbiano detto che la propria moto è stata perfetta, e anche io, sinceramente devo dirti che dopo qualche problema iniziale con i parastrappi della frizione, una volta sistemato l’inconveniente, al di fuori delle solite sostituzioni del materiale di consumo, catene, pignone, copertoni, per il resto la moto ha tenuto perfetta-mente fino all’arrivo. Il nostro team era super organizzato; i tecnici e i meccanici e gli uomini della assistenza in genere non ci hanno fatto mancare niente, la moto che avevamo in mano era sicuramente la numero uno, non esito a dire che chi è mancato nel team son stati i piloti, e quando parlo dei piloti non mi riferisco a Picard e Gualdi…

Quante volte sei caduto e per quali cause? Pensi che il rally africano sia più pericoloso delle altre gare motociclistiche?
Sono caduto una volta sola, a 50 km/h, per cui praticamente non sono mai caduto, cioè non ho fatto quelle cadute che abbiamo visto più volte in TV; alla Dakar questi rischi sono all’ordine del giorno, con le velocità elevate e il terreno così insidioso in 12.000 chilometri sarebbe impossibile che non accada a volte anche qualche grave incidente. Sicuramente la Dakar è più pericolosa della regolarità, soprattutto per le alte velocità che si devono tenere su un terreno dove per non rischiare dovresti andare a non più di 50 all’ora. Nella regolarità le velocità sono molto più limitate ma comunque un pilota è sempre ben protetto dai vari accessori come il casco, pettorine, ecc. ecc. Teniamo comunque presente che nei venti giorni dí questa maratona percorri tanti chilometri come in due anni di gare di regolarità e con tutti i partenti che ci sono…

Raccontaci l’episodio più curioso della tua Dakar.
Verso metà gara ero in gruppo con Orioli, Terruzzi e Findanno e abbiamo fatto un rifornimento di benzina sporca, tutti più o meno eravamo in panne, ma l’unica moto che era riuscita a digerire quel surrogato di petrolio è stata la mia Cagiva così ho aiutato Edy tirandolo e spingendolo fino a che la sua moto è ripartita.

Tornerai l’anno prossimo?
Nonostante la Paris-Dakar sia stata la gara più emozionante della mia vita, penso proprio di non parteciparvi più, anche a me è venuto il “mal d’Africa”, proprio per questo penso di non ritornare. Per vincere bisogna rischiare, io mi sono reso conto che pur non rischiando non accusavo dei distacchi elevati e quindi se mi dovessi ripresentare probabilmente cercherei di annullare il divario con i migliori e per fare ciò dovrei rischiare più di quello che voglio.

Fonte Motocross marzo 1988

Yamaha XTZ 850 R, la fine (quasi) dei prototipi

Nel 1994 Yamaha decise di non partecipare con la squadra ufficiale in contrasto con la modifica al regolamento che sanciva la fine della categoria prototipi e non avendo tempo di preparare una moto per vincere decise di non partecipare, prima volta da quando iniziò la Parigi-Dakar. La Yamaha nel 1994 presenta la nuova moto la XTZ 850 R.

Con i costi di produzione limitati a 140.000 Franchi per almeno quindici moto prodotte in modo identico.

Ed unitamente alla XTZ 850 R fu presentata anche la XTZ 660 Super Production. Il prezzo imposto voleva favorire i piloti e le squadre private che  potevano acquistare ufficialmente moto performanti già pronte al prezzo prestabilito.

Tuttavia, gli esperti hanno segretamente valutato il prezzo di produzione della XTZ 850 R molto più alto! Il patron Yamaha Motor France non smentì questa affermazione, anzi confermò che la moto era una moto da gara a tutti gli effetti e che valeva ben più del suo prezzo. Un vero affare per l’acquirente privato.
Peterhansel aveva preparato perfettamente la sua moto e ne avevano fatto una serie identica ed era quasi imbattibile.       

Delle 15 moto preparate una decina furono vendute ai privati, come il Tais Sport e il team Les Copains, le moto furono presentate e vendute in livrea bianca e serbatoi anteriori alluminio.  Le XTZ 850 R erano moto molto performanti e pochi piloti poterono sfruttarle a pieno, nel 1996 Orioli vinse con la dama bianca, mentre nel 1995, 1997 e 1998 Peterhansel vinse con la XTZ 850 R che da derivazione TDM passò a al motore TRX, infatti le moto furono omologate per la circolazione su strada con la sigla 3VD, come i TDM.

 

Jean Claude Oliveir, patron di Yamaha Motor France con Stephane Peterhansel alla presentazione del modello 1994

Jean Claude Oliveir, patron di Yamaha Motor France con Stephane Peterhansel alla presentazione del modello 1994

 

Una particolarità, le moto clienti furono vendute ai clienti con il telaio bianco, mentre le moto del team interno avevano il telaio blu come la moto. La moto oltre a quelle a casa di Perterhansel (Dakar 1998) una è esposta al museo Yamaha in Giappone che non è la 1997 (è una clienti travestita) un paio alla Yamaha Motor France, una o due in Italia le altre sono una in Spagna e un paio tra Francia e Germania.
Quasi tutte le XTZ 850 R sono ancora in ottima forma e perfettamente funzionanti.

Testo Giovanni Tazzone Fantazzini

YAMAHA TT600 Wild Team – Dakar 1990

Per la preparazione delle tre moto che hanno concluso la Parigi Dakar sono stati presi, come base di partenza, i motori del XT 600 1989 e il telaio del TT 600. Interventi sul motore non sono stati radicali. Nessuna maggiorazione di cilindrrata, ma solo una particolare messa a punto.

La decisione di non procedere nella sostituzione preventiva a metà gara del propulsore (che avrebbe implicato la squalifica automatica dalla categoria silhouettes) obbligato a mantenere sollecitazioni e dimensionamenti nella norma. Una leggera raccordatura dei condotti, un radiatore dell’olio (della Yamaha 750 mono a cinque valvole), l’albero a camme del kit BYRD per elaborare il TT 600, la cassetta filtro di aspirazione rifatta per ospitare l’elemento in carta della Renault 12(l’unico a trovarsi in ogni angolo dell’Africa) e un’accurata messa a punto di carburazione, sono i pochi interventi eseguiti sul motore. Il sistema di scarico è stato costruito ex novo su dalla BYRD, trattasi di un sistema a scarico libero con megafono e controcono finale, è arrivato il lamierino di 0,8 mm di spessore. I collettori al cilindro sono stati mantenuti sdoppiati (uno per valvola) è stato previsto il collegamento ad un silenziatore finale per i trasferimenti europei.

L’accensione rimasta quella originale dell’ex così come il cilindro pistone valvole e testata; questi ultimi uguali nel motore del motore XT del 1989. La scelta del cilindro incamiciato piuttosto che a quello con riporto galanico del TT 600 è stata fatta per godere di una maggiore affidabilità nei confronti delle inevitabili infiltrazioni di sabbia. I carter esterni sono infine stati sabbiati e verniciati trasparente ma solo per motivi estetici. La carburazione è stata quindi per ritoccata con un discreto arricchimento nel getti minimo e massimo.

La corona originale è stata sostituita con una Chiaravalli in acciaio unita ad una catena RK auto-lubrificante con o-ring, lasciando solo il pignone originale. Da segnalare inoltre l’adozione di un rinforzo per l’alberino di comando del cambio, con una piastrina di sicurezza contro gli eventuali urti. La lubrificazione del propulsore e del cambio è stata affidabilità a un buon multigrado come lo Shell Helix.

Durante la gara la manutenzione di ogni moto a richiesto tre candele, quattro filtri olio e tre set completi di catena corona pignone, innumerevoli filtri aria e benzina e un carburatore completo per la moto di Marcaccini (pagato ben 4000 Fr. al team Yamaha Sonauto).

Quello montato ha inspiegabilmente cominciato a far girare il regolarmente il motore e nemmeno una pulizia completa è riuscito a riportarlo nelle condizioni di partenza.

Impianto elettrico
Anche questo importante componente è stato rifatto completamente, privandolo di ogni collegamento superfluo e raddoppiandolo per intero. Quindi: due bobine e due centraline.

I fanali anteriori, due alogeni della Fiat Ritmo sono stati inseriti nel cupolino grazie a una staffa di sostegno che garantisce una regolazione differenziata per l’inclinazione del fascio luminoso, in modo da ottenere sempre una adeguata illuminazione nelle lunghe discussioni delle sospensioni. La batteria adottata di tipo sigillato, ha fornito l’energia anche alla pompa elettrica della benzina prelevata da una Yamaha Tenere 600: universalmente riconosciuta come la più affidabile dal popolo motociclistista della Dakar. Per la navigazione sono stati montati Road Book a funzionamento elettrico della MD, il trip master originale dell’onda XT 600 R e una bussola aeronautica .

Telaio
La base e quello della Yamaha TT 600 la parte anteriore è stata ovviamente rinforzata con fazzoletti saldati nella zona del cannotto di sterzo, ma anche ad aumentare vi cerca 1 litro la capienza olio motore che circola all’interno dei tubi. L’arco utile dello sterzo è stato diminuito con l’usuale placchetina saldata anteriormente al cannotto, misurata agli angoli esterni presenta una larghezza di 50 mm invece dei normali 20 mm. Questo per evitare che, in caso di caduta, la forcella sfondi il serbatoio. La parte posteriore invece è stata ridisegnata è costruita completamente.

Anche gli attacchi forcellone. Il lavoro maggiore però è stato richiesto dalla progettazione e realizzazione del forcellone. Più lungo e ben 150 mm rispetto a quello originale, è stato costruito in Carpental, la sezione esterna è di 80 × 35 mm.

L’attacco al telaio avviene mediante due piastre ricavate dal pieno e unite ai due bracci per saldatura. Come si può giudicare dalle foto il forcellone denota una finitura veramente pregevole. Va ricordato che tutte le lavorazioni telaistiche che sono state realizzate con l’aiuto di maschere costruite appositamente. I cavalletti, particolare importantissimo, sono di tipo laterale e posti in entrambi i lati della moto. Se abbassati contemporaneamente, la ruota posteriore rimane sollevata da terra, consentendo così una agevole sostituzione della stessa. A sinistra si mantiene la stampella originale arricchita di una base larga in nylon per prevenire meglio la fondamento sulla sabbia. Dall’altra parte troviamo cavalletto contenitore del tipo montato dalle Yamaha ufficiali. Infatti è stato realizzato sulla base di alcune fotografie.

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Il reparto sospensioni è servito da una forcella Kayaba tipo tradizionale, di provenienza ufficiale con steli da 43 mm e da Mont ammortizzatore Ohlins privo della regolazione idraulica esterna in compressione, con leveraggi di progressione del TT 600

Wildbike23La bellissima forcella è completamente richiamata dal pieno per quanto riguarda foto e i pompanti ed è dotata di sgancia ruota rapido (anche se, relativa utilità ora che le mousse hanno preso il sopravvento rispetto alle tradizionali). All’interno dei pompanti è montato un sistema di anticavitazione per l’olio idraulico. Più lunghi invece i collaudi per la taratura finale del mono ammortizzatore, che è stata definita pochi giorni prima della partenza per Parigi. Il pacco lamellare interno lavora immerso in olio Ohilins specifico e in sintonia con una molla da 9,5 kg (leggermente più chiusa per il peso). La pressione interna è di 15 atmosfere e bisogna specificare che durante la gara non si è mai reso necessario sostituire l’unità ammortizzatore in nessuno delle tre moto,

Le piastre della forcella che se ricavate dal pieno lavorando 2 blocchi di Avional 24, invariata la geometria di sterzo, ma aumentata l’altezza delle stesse: 38 mm per quella superiore e 40 mm per quella inferiore ruote sono state assemblate nella officina di Wild Team con mozzi e e raggi provenienti dalla ufficiale, e cerchi Takasago di normale produzione. Per quest’ultimi però si è dovuto acquistarli non forati per la raggiatura, che è stata eseguita dopo la specifica foratura richiesto dal mozzo, disegnato per cerchi DID.

E per i perni ruote e forcellone Marcaccini è Montebelli si sono rivolti allo specialista Poggipolini, che li ha realizzati in acciaio, Wildbike4mentre per la bulloneria si è cercato di mantenere quella originale, giudicata ottima. I freni sono stati forniti sempre dalla BYRD e troviamo davanti un bel disco Brembo in ghisa da 300 mm ampiamente sforato e con montaggio flottante sulla flangia in lega leggera. Posteriormente viene in aiuto per frenare gli oltre 160 kg a secco di questa speciale un disco in acciaio da 230 mm accoppiato anche esso ha una pinza Nissin a due pistoncini.

Al manubrio troviamo i comandi originali del XT con quelli elettrici modificati nelle funzioni. Solo il manubrio, uno Zaccaria in ergal i nostri hanno scelto per la sua eccezionale robustezza, viene montato con un particolare ponticello, sempre in piega che unisce le due staffe di ancoraggio alla piastra superiore. Grazie a questo particolare Marcaccini nel 1988 ha potuto concludere 1000 km di una tappa nonostante la piastra forcella superiore spezzata a metà, con il solo soccorso di una cinghia in nylon prestata da Clay regazzoni.

In ultimo abbiamo lasciato quelli che sono forse i pezzi più importanti per avere allo stesso tempo una moto funzionale e guidabile: i recipienti per la dislocazione dei 60 l di carburante che è necessario portarsi appresso durante la maratona africana. Costruirsi i serbatoi per un enduro non è un’operazione impossibile, ma farlo per la Dakar, e quindi nella maniera più robusta possibile è un altro affare.

Non vorremmo scadere in dicerie da bottegai, ma la stessa blasonata Gilera ufficiale ha lamentato nell’ultima Parigi Dakar, perdite dai serbatoi che i poveri meccanici hanno dovuto riparare spesso. Tutte le sovrastrutture per la loro special sono proprio i particolari meglio riusciti. Realizzate in lamiera di alluminio piegata, sagomata e saldata come pochi ma battilastra sanno fare. È da tenere presente che la moto protagonista del servizio, seppur restaurata rimane pur sempre la moto che ha portato Marcaccini da Parigi a Dakar. Venendo al sodo troviamo i due serbatoi anteriori, per una capienza totale circa 45 lt. facilmente smontabili e con un collegamento a vasi comunicanti per una lettura immediata, durante la marcia, della benzina ancora disponibile.

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Il pescaggio del prezioso liquido avviene grazie alla pompa elettrica già menzionata, coadiuvata innesco da una pompetta manuale in gomma di tipo motonautico. Sotto la sella, rivestita in finta pelle scamosciata, per una migliore aderenza al fondoschiena, trovano posto gli altri 15 lt. di carburante. Il portapacchi posteriore chiude la culla posteriore ed è provvisto di due maniglie molto utili negli insabbiamenti.

All’interno di questi involucri è stata introdotta una speciale spugna per evitare violenti sciacqui, altrimenti pericolosi nella guida, e soprattutto in curva. Sotto il motore è posto il serbatoio dell’acqua (obbligatorio per regolamento) con i suoi 6 lt. circa di capienza, l’alloggiamento della batteria e un ripostiglio capiente per eventuali ricambi e attrezzi. Con la piastra inferiore, quest’ultimo funge anche da scudo di protezione per il basamento del motore.

Infine il cupolino e i parafanghi sono stati realizzati su disegno del Wild Team anche se chiaramente ispirati a quelli delle Yamaha ufficiali. Nella loro progettazione si è curata soprattutto la riparabilità in caso di incidente. E dobbiamo riconoscere, dopo aver visto Marcaccini all’opera, che tutte le sovrastrutture si smontano in pochissimi minuti. Un ottimo lavoro dunque, soprattutto in considerazione del pregevole risultato globale che non ha mancato di stupire vari esponenti della stampa straniera e mi stessi avversari.
Ndr: tutte le 3 Yamaha del Wild Team raggiunsero il traguardo di Dakar,  Montebelli 17°, Aluigi 28° e Marcaccini 30°.

Livree curiose alla Dakar 1982

M’Taich El Fodil aveva la particolarità di decorare i suoi veicoli con le strisce di una zebra, quale modo più azzeccato per mimetizzarsi. Non si conosce il motivo, ma ad ogni partecipazione era decorato così da zebra, moto o auto che sia…