Dakar 1986 | Franco Picco, due ore per una stronzata

 La tappa è Agadez-Dirkou. Si attraversa il deserto del Ténéré su un fondo abbastanza piatto e tutto di sabbia. É una fortuna, perché il giorno prima mi sono lussato la spalla ed ho una piccola frattura ad una mano. Potrò guidare anche con una mano sola, per alcuni tratti. Ho superato il momento di maggior sconforto, 150 chilometri sul “tole ondulée”, con una spalla fuori posto, che al campo un medico francese è riuscito a rimettere in movimento con un colpo da maestro, una bendatura stretta ed una “ingozzata” di pillole contro il dolore.

Picco 1986 copia

Il fondo oggi è molto tenero, per via di una tempesta di sabbia che si è abbattuta sulla pista. Lo scorso anno era molto più duro e veloce. I nostri piani di rifornimento, fatti in base all’esperienza passata, prevedono di fare il pieno all’albero del Ténéré, dopo 200 chilometri, e poi di fare tutta una tirata fino al traguardo. Sono circa 400 chilometri. Ma per via della sabbia morbida la velocità è molto inferiore allo scorso anno, non si riescono a superare i 110, 115 Km/h, ed i consumi sono superiori al previsto.

Inizialmente penso che sia un problema al motore…

Viaggiamo insieme, io ed Andrea Marinoni, mio compagno di squadra. Quando siamo in vista dell’oasi di Bilma, ben distinguibile anche in lontananza per la presenza di un faro che, proprio come quelli dei porti, serve ad indicare la strada alle carovane che attraversano il deserto, la mia Yamaha si ferma. Diavolo, ho rotto – penso – ed invece sono solo rimasto a secco di benzina.

Per fortuna Marinoni ne ha ancora un litro, così cominciamo a travasare dal suo serbatoio al mio, con un imbuto che abbiamo portato con noi per fare il pieno. Pensiamo solo di arrivare all’oasi, dove possiamo fare rifornimento prima di ripartire. Da lì a Dirkou, fine della tappa e della prova speciale, ci sono altri venti, venticinque chilometri. Mentre armeggiamo con imbuto e serbatoio sopraggiungono i primi concorrenti con le auto.

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Le Porsche ci superano velocemente. Facciamo segno ad una Mitsubishi Pajero di fermarsi ed il pilota, stranamente, perché di solito non ci degnano di una occhiata, si arresta in una nuvola di polvere. È Zaniroli… che come me ha finito la benzina proprio in quel punto. Non ci resta che ultimare i nostri travasi.

Ripartiamo per fermarci, con la mia Yamaha nuovamente a secco, proprio a 100 metri dal faro. Ad attenderci troviamo solo dei militari con delle jeep, ma tutte a gasolio. lo sono fermo, tocca ad Andrea Marinoni infilarsi nel villaggio in cerca della sospirata benzina. Torna indietro in un attimo: in previsione del passaggio del rally i locali hanno preparato delle taniche; lui ne ha comperata una ed ha ripercorso la pista guidando con la latta sul serbatoio che gli scivolava da tutte le parti.

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Inizio a vuotare. È un liquido bello chiaro, trasparente, anche se un po’ oleoso. Mi tornano subito alla mente le parole del nostro direttore sportivo: “non fate benzina a Dirkou perchè non è buona”. Mentre Marinoni fa il pieno alla sua moto, che ha lasciato con il motore acceso, io cerco di avviare la mia, ma senza successo. Andrea prova ad aiutarmi, ma non serve, così fermiamo Gualini e lo spagnolo Mas che ci hanno raggiunto, per farci dare una mano.

Niente da fare. L’unico risultato è di perdere un bel po’ di tempo e Marinoni, che in classifica è messo meglio di me, decide di andare avanti per non accumulare ulteriore ritardo. Ma quando monta in sella si spegne anche la sua moto, e la storia si ripete. Gualini prova a tirarlo con una fune, ma una volta cade lui ed una volta Andrea, senza risultati. Così che mentre loro si allontanano a quel modo io comincio a smontare la candela ed il filtro, pensando che ci sia qualche problema con la pompa della benzina.

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Mi basta avvicinarmi al carburante per percepire un odore strano. Faccio annusare anche ad un militare che mi sta intorno ed ho la conferma ai miei dubbi : è gasolio! Non c’è niente altro da fare che cercare della benzina. Mi da una mano un soldato e con la sua jeep andiamo a cercarla. Naturalmente Marinoni è fermo poco più avanti : gli dico di smontare il serbatoio e di aspettarmi.

Vago a vuoto fino a quando proprio in fondo al paese trovo un vecchio che fuori dalla casa ha un bidone con dentro la benzina. Il prezzo è d’amico: per darmene una tanica vuole 500 franchi. Da quel momento è una corsa nella corsa. Puliamo il serbatoio, cambiamo la candela, buttiamo un po’ di benzina nel carburatore e una volta rimontato tutto con tre pedalate le Yamaha vanno in moto. Sono in un bagno di sudore, e dopo essermi asciugato in tutta fretta riparto. Due ore di ritardo per una stronzata! Anche questa, però, è la Dakar.

Tratto da Dakar Dakar 2
Testo Paolo Scalera
Foto Dune Motor

Advertising Alpinestars 1986

Dakar | La sopravvivenza in un valigetta

Nei due briefing che istituzionalmente aprivano la Dakar, quello di Parigi e quello sulla nave che portava ad Algeri, Thierry Sabine non si stancava di ripeterlo qualora vi perdeste non abbandonate mai il vostro mezzo. Mai. L’istinto dell’uomo, infatti, in questi casi inusuali tradisce : spinge a cercare aiuto, ma il primo aiuto un corridore della Parigi-Dakar sa, invece, che deve dado ai propri soccorritori.

Deve cioè facilitargli il ritrovamento. Il primo comandamento, dunque, é non abbandonare l’auto. Il corollario di Balise_2questo non dipingerla preferibilmente di giallo, colore che la rende invisibile nel deserto da un elicottero. La seconda regola prepararsi ad attendere. Una attesa, é chiaro, di un soccorso che non sarà immediato. Solo dopo 12 ore, e comunque mai di notte, si potrà iniziare con la prima operazione, la più semplice, ma anche la più importante. L’accensione della radio-balise.

Nell’equipaggiamento di ogni corridore, infatti, c’e una valigetta Samsonite che contiene il necessario per facilitare l’avvistamento. Il cuore dell’equipaggiamento é una radio che opera su di una sola banda di frequenza. La sua carica dura 48 ore ed il segnale, continuo, é un filo di Arianna per i soccorritori. Ma di notte il deserto è una immensa coltre senza riferimenti e confini. È il momento di sparare i razzi colorati che con la vivida luce del giorno sarebbero invisibili, mentre un fumogeno potrà essere lanciato quando un velivolo, magari, incrocia fuori dalla nostra portata.

Un filo di fumo, infatti, è visibile da molto lontano, e proprio grazie all’accorgimento di aver bruciato i pneumatici della sua auto uno ad uno, Simonin, in Mauritania nel 1984 fu trovato dopo tre giorni di ricerche. La gomma infatti fa molto fumo e brucia lentamente. Quindi l’ultima risorsa, come fu all’alba dell’uomo, é il fuoco. Per questo fra le tante raccomandazioni per i neo iscritti c’e quella di avere sempre con se almeno i fiammiferi, un coltello ed il telo di sopravvivenza.

Cos’é quest’ultimo? semplicemente un leggerissimo foglio di alluminio che da una parte riflette i raggi del sole, riparando dal calore, mentre avvolgendoselo addosso isola dal freddo. Ripiegato, sta in una tasca. Ma é molto semplice perdersi? Sembra una domanda scontata, invece con piccoli accorgimenti é possibile ridurre questo rischio al minimo. Il primo, naturalmente, é che appena ci si rende conto di aver sbagliato strada é più prudente ripercorrere le proprie tracce. Anche se ciò porta via del tempo.

 Schott HardenNel deserto, qualunque CAP, cioè rotta di bussola, si stia seguendo, si farà una marcia indietro di 180°. Imperativo é riprendere la pista principale. Ed uno dei trucchi, semplice ma vitale, è che quando le circostanze richiedono continue deviazioni per evitare, magari, tratti di pista troppo rovinata, si sappia sempre da che parte la si lascia. Se a destra o a sinistra. Non é difficile, intatti, che a forza di intersecarla alla ricerca del terreno più solido non ci si ricordi più da che parte si trovava n’ultima volta. La “pista” africana non è una strada asfaltata, è solo la rotta della consuetudine da villaggio a villaggio.

Può rovinarsi e divenire impraticabile, in un punto. Una nuova consuetudine traccerà, allora, una nuova pista, parallela, che tornerà a quella principale. E così decine, centinaia di volte. Tanto che nella savana più che nel deserto il terreno apparirà a volte come un dedalo inestricabile di sentieri. Si parla sempre, alla Dakar, di concorrenti che hanno sbagliato strada prendendo, per questo, ore di penalità. Bene, cioè accade quasi sempre quando il rally abbandona il deserto per le savane.

Nelle sconfinate distese del Ténéré infatti ad aiutarci c’è la bussola, e poi la posizione del sole. Servono principalmente nervi saldi. Quando la vegetazione invece forma schermi impraticabili, non c’è bussola o sole che tenga. Al massimo possono tornare utili le carte, possibilmente quelle militari, dettagliatissime, per rendersi conto della propria posizione. Tuoi i migliori equipaggi le hanno, e non sono solo utili nei momenti d’emergenza, anzi, non é raro vedere i piloti studiarsele prima del via. Prendere nota dei bivi, dei villaggi. Come sempre, anche in Africa, la migliore sicurezza viene dalla prevenzione.

Fonte Dakar Dakar2

Testo Paolo Scalera

Dakar 1992 | La prima di Patrizio Fiorini

Fu la mia prima Dakar, la mia migliore. Abbandonai in fondo al Ténéré, e lì, fui caricato sul camion balai, abbandonando e perdendo la mia moto per sempre. La tappa dopo fu neutralizzata in un trasferimento che passò alla storia come più pericoloso della speciale, da N’Giugmi a N’Djamena.

Dopo quella tappa, più nessun ritirato (tra le moto). Ero talmente incazzato che non volli sentire ne leggere più nulla della Le Cap. Riuscii a raggiungere un aeroporto tra passaggi in taxi e mezzi di fortuna, e prendere un volo verso casa da Niamey.

Arrivai in Italia che la gara era già finita, ancora vestito da moto con stivali, tuta e casco in mano. Appresi della morte di Lalay dall’amico che mi venne a prendere di notte a Malpensa. Ho un ricordo talmente bello ma devastante di quella edizione che mi fa dire oggi “io c’ero”.

Ma in quei giorni mi sono maledetto. Mai edizione tanto sgangherata e sfortunata. Pochissimi iscritti. Nella sua approssimazione, l’organizzazione di Gilbert Sabine mi regalò dei bivacchi a contatto coi campioni, dove loro stessi avevano poca assistenza. Un’edizione dove privati e ufficiali mangiavano assieme. Bella gente. Bei ricordi.

Dakar 1988 | Gilera R1 125 Paris Dakar

II ritrovamento dell’unico esemplare sopravvissuto delle due Gilera 125 R1 che parteciparono alla 10. edizione della Parigi-Dakar che si corse nel gennaio del 1988, ci ha dato lo spunto per raccontare una storia dimenticata. Una vicenda che è tanto più importante se consideriamo che con questa partecipazione la Gilera scrisse per la prima volta il suo nome nell’albo della massacrante maratona africana, iniziando di fatto una presenza che l’avrebbe vista tra i maggiori protagonisti negli anni a venire.

Ringraziamo di questa opportunità il Moto Club Carate Brianza, nelle persone del suo presidente, Guido Fumagalli e del collezionista Mauro Gibellini, proprietario della moto, che per celebrare l’importante ritrovamento, nel luglio scorso hanno organizzato una piccola festa che ha visto riunirsi i principali artefici di quell’avventura. Oltre al pilota che ai tempi guidò la moto n. 2, il francese Gilles Valade, ed al suo meccanico Michel Duhalde, arrivati il primo addirittura dalla Nuova Caledonia (che è dall’altra parte del mondo, sopra l’Australia), e il secondo dalla Francia, era presente anche la parte italiana della vicenda, gli storici meccanici che negli anni 80 e 90 costituivano il nerbo del Reparto corse Gilera, Emilio Locati e Romolo Ciancamerla. Mancava Silvano Galbusera, altra figura fondamentale nell’allestimento delle moto, ma purtroppo impossibilitato a partecipare.

Il team francese che si iscrive si chiama Le Defi 125 (la sfida della 125) a sottointendere la piccola cilindrata in rapporto alle enormi difficoltà da affrontare.

Furono infatti questi uomini a costruire le moto ad Arcore, insieme a Marco Riva, presente all’evento, in quegli anni al Reparto progetti della Casa di Arcore, che si occupò della livrea e della grafica delle due R1 che presero il via alla Parigi-Dakar. Presentati brevemente così i protagonisti, lasciamo il ricordo di quell’avventura al pilota Valade e al suo meccanico Duhalde.

GILLES VALADE
Affascinato come molti piloti di fuoristrada dalla Parigi-Dakar, nel gennaio 1987, subito dopo la conclusione della 9a edizione della gara, prendo contatto con Jean Marc Lambinon di Peugeot Cycles a Parigi. Ho un progetto ambizioso da presentargli: partecipare alla prossima Parigi-Dakar, con quattro Peugeot XL 125 LC, moto di serie che utilizzano motori Gilera, e che ben conosco perché ne utilizzo una da due anni per partecipare al Trofeo Peugeot di Enduro. La piccola cilindrata, in rapporto alla durezza della gara, rappresenta di per sé una sfida, e per questo il Team che ho fondato si chiama Le Defi 125 (La Sfida della 125).

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Il Team conta già i quattro piloti, un meccanico, un preparatore, un semplice ma efficace piano di comunicazione, e qualche piccolo sponsor. Manager, pilota e ‘PR’ sono io; Christian Grelaud è il pilota della seconda moto che ci porta in dote lo sponsor Aurora Confection; Marcel Meriguet e Chirstian Izaire, pilota e giornalista sportivo di Sud Radio, sono il terzo e quarto pilota. Michel Duhalde è il meccanico. Mi rendo conto che partecipare al raid con una 125 è un azzardo, il sogno è di concludere l’avventura a Dakar, ma sarebbe già un successo arrivare ad Agadir, il traguardo di metà gara.

La dirigenza della Peugeot si convince che La Sfida 125 può essere un buon veicolo pubblicitario, richiamando interesse verso le sue moto; non passa molto tempo infatti che Lambinon mi chiama per annunciare che hanno accettato di affidarmi quattro moto, dieci motori di scorta e molti ricambi. Per me è un ottimo inizio e, con il sostegno della Peugeot, mi rivolgo alla Michelin per ottenere i pneumatici Desert con mousse Bib. Se le quattro Peugeot, nel loro allestimento base, possono andar bene per le gare di Enduro in Francia, non sono certo adeguate per affrontare una Dakar. Un po’ di esperienza infatti ce l’ho perché ho corso l’edizione del 1986 da privato con una Suzuki. Serve anzitutto aumentare l’autonomia, che è ridotta dal serbatoio da 10,2 litri.

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A quell’epoca l’Acerbis realizza kit di mega-serbatoi in materiale plastico, più un serbatoio supplementare da piazzare sotto la sella, per moto di Marche diverse, ma tutte di grossa cilindrata, quindi non adattabili alle Peugeot. La soluzione mi arriva da un annuncio pubblicato su Moto Journal da Michel Assis che offre un monoscocca in carbonio da 45 litri, con all’interno due serbatoi aeronautici indistruttibili, sistemati uno nella posizione tradizionale e l’altro dietro la sella, nella coda della moto. Contatto Assis e gli chiedo se è possibile adattare questo kit alle mie moto. La risposta è positiva, quindi gli spedisco una moto perché possa lavorarci con calma e precisione nella sua officina. Ma anche la ciclistica delle Peugeot non è all’altezza.

In particolare la forcella, che dovrà sostenere il sovrappeso di oltre 45 litri di carburante e dei vari accessori necessari allaGilera_R1_36 navigazione nel deserto. Stock Express, ricambista specializzato in forcelle, forse sedotto dal mio entusiasmo (e dai miei sponsor…), accetta di procurarmi quattro Marzocchi maggiorate, irrobustite e ‘up-side-down’. Presso l’officina Doumencq Motos, a Saverdun in Ariege, dove si stanno già modificando le Peugeot, le forcelle vengono montate sui telai senza nessun problema, ed a breve le quattro Peugeot sono pronte per le prime esperienze sulle montagne dei Pirenei e le spiagge di Narbonne, che offrono molteplici tipi di terreno e difficoltà simili a quelle africane.

Le prove vanno bene, le moto ci convincono. Un pilota francese, occasionale spettatore delle nostre prove, e già concorrente al Campionato Peugeot di Enduro, ci chiede informazioni e offre la sua esperienza per eventuali consigli. Tra le altre cose, gli dico che abbiamo intenzione di modificare le dimensioni di catena, corona e pignone, ma che non sappiamo ancora cosa adottare tra 420, 428 o 520.

L’esperto endurista sconsiglia vivamente questo intervento, perché ha visto troppe rotture di carter motore causate dai rapporti e dalla catena maggiorata che, andando a sfregare sul carter, lo usura e lo rompe rapidamente. Per non parlare del maggior assorbimento di potenza, sensibile in motori come i nostri 125 che già non ne hanno tanta. Vista la serietà e la competenza della persona, decidiamo allora di soprassedere a questa modifica, mantenendo la trasmissione originale. Frattanto le quattro scocche speciali in carbonio sono finite e arrivano all’officina di Doumencq, dove si svolge la preparazione tecnica.

Non resta che montarle e dare gli ultimi ritocchi, dopo di che organizzo una prima presentazione del Team Le Defi 125 in TV, sul canale France 3. Altra fondamentale presentazione, con esposizione di una moto, allo stand Peugeot del Salone di Parigi, che si tiene dal 14 al 23 novembre 1987, dove incontro anche il noto giornalista Guy Coulon, che mi assicura un ampio servizio sulle maggiori testate della stampa specializzata e su VSD (diffusa rivista francese). Nella stessa occasione contatto ed ottengo supporto da altri importanti sponsor: Segura per l’abbigliamento, Answer per i caschi e Carrera per gli occhiali. Manca ancora tuttavia uno sponsor che possa coprire le spese di trasferimento di moto e ricambi, per mezzo dei camion di Georges Groine, all’epoca il più introdotto nei servizi della Parigi-Dakar.

Sempre a quel Salone, Lambinon, ospite allo stand Gilera, dove anch’io mi trovo incuriosito dalla nuova R1 da Enduro, ed in particolare dal suo potente motore, decisamente più performante di quello delle Peugeot, mi presenta ad alcuni dirigenti della Casa italiana. Ne segue una riunione in cui spiego il mio progetto e accenno ai problemi ancora da risolvere inerenti al costoso trasferimento. Ma soprattutto chiedo se è possibile ottenere il motore della R1 per montarlo sulle quattro moto. Il 14 dicembre ricevo una telefonata dall’Italia con cui mi si invita ad Arcore: la mia richiesta è accettata, e in più la Gilera parteciperà tramite il mio Team alla Parigi-Dakar in forma ufficiale! Per questo mi chiedono di mandare ad Arcore due moto su cui verranno installati i nuovi motori R1. Prima di accettare però, mi sembra corretto informare e chiedere l’autorizzazione alla Peugeot, che sportivamente non pone vincoli sul fatto che le moto portino anche il marchio Gilera.

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La cosa non passa inosservata alla stampa specializzata, e un nuovo articolo compare sulle pagine della rivista L’Equipe. Ma anche i contatti con l’organizzazione della Parigi-Dakar, nella persona di Renè Metge, vanno bene: visto il valore degli sponsor, Peugeot, Michelin, Gilera, ecc., chiedo ed ottengo che le mie moto abbiano i numeri di gara da 1 a 4. Un bel colpo per l’immagine! Le due Peugeot arrivano ad Arcore il 18 dicembre, e vengono smontate per adattare i nuovi motori, ma iniziano anche le prime difficoltà. Non solo risulta impossibile montare i motori e i loro accessori sulle Peugeot, ma una cassa inviata dalla Francia, che contiene tutto il materiale che serve a montare le scocche sulle moto, viene rubata alla dogana. Il mio meccanico, Michel Duhalte, in Gilera per seguire e collaborare coi lavori, è seriamente preoccupato, anche perché è già il 18 dicembre, e manca poco più di una settimana alla partenza della gara. Così sollecita il mio rientro ad Arcore, dove sono messo al corrente delle difficoltà tecniche incontrate, ritenute insormontabili visto il poco tempo che resta se si vuole schierarsi al via.

A questo punto interviene Gianni Perini, lo storico Direttore del Reparto corse di Arcore. Perini decide di prelevare due R1 dalla produzione e modificarle con i pezzi delle Peugeot. Accetto la decisione, anche perché non vedo vie d’uscita. Per risparmiare tempo, l’omologazione dei telai manterrà quella Peugeot… asportando la targhetta Gilera e ripunzonando i telai, e le due moto avranno documenti e targa francesi, con la cifra identificativa 25 del distretto di Besancon, dove ha sede lo stabilimento Peugeot. 1119 dicembre hanno inizio i lavori sulle 91, ma presto si presentano altre difficoltà. In particolare non si riescono ad adattare le scocche, tanto che alla fine i meccanici Gilera le tagliano in due parti, utilizzando solo quella posteriore che viene fissata al telaio con apposite staffe, mentre l’anteriore viene eliminata, adottando un serbatoio in lamiera di capacità aumentata realizzato in tempo record e su misura, e che conserva un aspetto simile a quello originale.

Purtroppo in questo modo si perdono 10 litri di carburante, che dovranno essere recuperati assolutamente fissando sopra la parte posteriore della coda due taniche da 5 litri, con le relative conseguenze di alterata stabilità che ne derivano. Non si riesce nemmeno a montare le forcelle Marzocchi “up-side-down°, mantenendo perciò quelle originali della R1. Viene presa la decisione di utilizzare una trasmissione finale rinforzata e maggiorata, nonostante il mio parere contrario. In effetti in nessuna gara di Enduro disputata dalla Gilera in Europa si è mai presentato il problema della catena che rompe il carter, per cui non si vede il motivo di rinunciare a questa modifica.

Le due moto sono così ultimate e sottoposte a prove da parte di collaudatori Gilera. Tra le modifiche apportate, l’eliminazione del miscelatore, della batteria, il cui vano sotto la sella viene occupato con una piccola tanica di riserva di olio per miscela, cavi di scorta gas e frizione già in posizione e pronti all’agganciamento, leve dei comandi di scorta fissati con elastici e fascette in plastica alla testa della forcella, seconda bobina di riserva, speciale cavalletto con larga base che non affonda nella sabbia, ruote con perni dotati di maniglietta per lo smontaggio rapido, e tutte le modifiche necessarie al manubrio (piastra e attacchi) per montare il road book e la bussola. Uno sforzo enorme da parte di meccanici e tecnici, che lavorando giorno e none, in una settimana hanno praticamente costruito due moto in grado di affrontare una Parigi-Dakar! Il 26 dicembre 1987 io e Grelaud, l’altro pilota, siamo a Milano dove si svolge la pre-partenza da Milano-Fiori.

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Sulle nostre casacche è ben in evidenza il marchio Gilera, e così sul serbatoio delle due moto, dove Gilera sovrasta Peugeot. Da Milano partiamo per la Francia in auto e arriviamo a Reims dove ci attendono Perini ed il meccanico Silvano Galbusera con il camion assistenza della Gilera e le due R1. A Reims ritroviamo anche Marcel Meriguet e Christian Izaire e le loro due Peugeot. qui hanno luogo le verifiche tecniche. Per quanto riguarda la numerazione, purtroppo il numero 1 viene spostato sulla Yamaha di Jean Claude Olivier (il potente importatore francese della Casa giapponese), così le quattro moto del Team avranno il 2, 3, 4 e 5, con i primi due numeri assegnati alle Gilera. Il 30 dicembre ’87 siamo a Cergy Pontoise (sul fiume Oise, qualche km a Nord Ovest di Parigi) dove si corre la prima prova speciale sotto un tempo infame. Pioggia e fango rendono la speciale un vero girone dantesco, ma le Gilera vanno perfettamente. Unica accortezza, viene montato un parafango anteriore alto per non intasarsi di fango, che poi sarà smontato perché inutile in Africa dove è preferibile quello basso. Al traguardo il risultato è davvero incoraggiante, con Grelaud 39°, e primo nella classe 125, e gli altri ben piazzati in posti alti della qualifica.

Il primo gennaio S8 ha inizio da Versailles la tappa di trasferimento verso Sète per l’imbarco per l’Africa: le due Gilera in rettilineo toccano i 145 km/h, meritandosi l’ammirazione di Jean Claude Olivier, che ci affianca con la sua Yamaha 600 incitandoci con il familiare gesto motociclistico della manetta tutta aperta. A Sète ci imbarchiamo sul traghetto che ci porta ad Algeri. Siamo in Africa! Da Algeri raggiungiamo EI Oued, dove il meccanico al seguito della spedizione, Michel Duhalde, provvede alla manutenzione delle moto. Solamente sulla mia Gilera si riscontra un serio problema: purtroppo sta verificandosi quanto temevo, e cioè che il pignone e la catena maggiorati impastandosi di sabbia fanno da mola smeriglio sul carter sinistro del motore che presenta una fessura di 5 cm, permettendo così alla sabbia di penetrare nel carter dell’accensione. Inoltre, fatto inspiegabile, viene rinvenuta la molletta della falsa maglia della catena all’interno del carter, mentre alla mia catena non manca. Forse un errore in fase di montaggio? La prossima tappa EI Oued-Hassi Messaoud, è di 594 km, di cui 250 di speciale nel deserto. Cosa fare? Cambiare tutto il motore, o solo il carter rotto? Il regolamento prevede che ogni moto abbia due motori di scorta, il primo da usare, nell’eventuale caso di una rottura, nella prima parte della gara, cioè fino ad Agadez, il secondo in seguito. Alla fine decidiamo di cambiare solo il carter risparmiando così il primo motore di scorta, e Michel lavora tutta la notte per completare l’operazione. Al mattino la moto gira perfettamente e prendo il via speranzoso. Anzi la Gilera, piccola e leggera rispetto alle altre moto, grosse e pesanti, naviga benissimo sulle dune.

La gioia però è destinata a durare poco: dopo tre ore il motore si ammutolisce. Guardo il carter di sinistra e vedo che si è nuovamente rotto, con la sabbia che è penetrata all’interno ed ha bloccato l’accensione. Non mi perdo d’animo, e con gli attrezzi che ho smonto il motore dal telaio, fiducioso che il camion assistenza sarà da me a breve. Invece dovrò aspettare 11 ore nel deserto prima che arrivi. Il camion mi lascia il motore nuovo ancora imballato e riparte subito, d’altronde è in gara anche lui! Nessuno mi aiuta, nessuno si ferma a vedere cosa non va. Siamo in una prova speciale, e la Parigi-Dakar non è una passeggiata nel deserto! Il nuovo motore parte subito, posso riprendere la marcia. Mi mancano 350 km per arrivare al traguardo di tappa.

La pista è resa quasi impraticabile dal passaggio di oltre cinquecento veicoli, ed è ormai sera, con la notte incombente. Accendo tutte le luci e proseguo con cautela. Improvvisamente, dopo una duna, trovo un assembramento di veicoli: moto, auto e camion sono fermi con i fari accesi in una sorta di accampamento dove rosseggiano già i primi falò. Mi fermo anch’io, nonostante non abbia nulla per passare la notte, ma sperimento la famosa fratellanza dei Dakariani: mi offrono da bere, da mangiare e per ripararmi durante la notte. Al mattino partiamo tutti. Mi manca la benzina, ed una Land Rover ormai fuori combattimento, mi regala la sua riserva. Così arrivo al traguardo di tappa di Hassi Messaud con ben 10 ore di ritardo.

qui vengo a sapere che le due Peugeot, che montavano i motori più vecchi col pignone e la catena più piccoli (da 428 anziché da 520), avevano superato questa prova, ma si erano comunque ritirate perché avevano finito l’olio per la miscela. In quella Parigi-Dakar, delle tredici 125 iscritte nessuna riuscirà a concludere la gara. Poco dopo mi raggiunge Christian Grelaud, ospite del camion scopa in compagnia di molti altri piloti. Ha rotto la scocca nel punto in cui era stata fissata al telaio e anche lui si è ritirato. Oltretutto il suo motore si stava rompendo esattamente come il mio. La mia moto, a proposito, comincia a denunciare lo stesso problema al carter dopo sei ore di marcia nemmeno tirata. Scoraggiato, non mi resta che abbandonare la gara, anche perché non arrivano i camion dell’assistenza, e per regolamento non potrei comunque montare il secondo motore di scorta. Decido però di tornare ad Algeri in moto, perché il trasferimento è tutto su asfalto.

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La mia Parigi-Dakar finisce qui. Anche gli altri componenti del Team raggiungono Algeri, dove, grazie all’abilità di Michel, riusciamo ad imbarcarci su un aereo cargo in compagnia delle moto e… di quel che ne resta. Magra consolazione è poi sapere che quella tappa era stata troppo dura per tutti: auto e camion ribaltati o fuori uso e moto distrutte o bloccate nella sabbia, per un totale di 147 abbandoni, e con tutte le 125 ritirate. Forse l’organizzazione non aveva ben valutato le difficoltà, ma i maligni sussurravano che la cosa fosse stata studiata apposta per ridurre il numero di concorrenti e quindi le spese generali… Comunque, forse per rimediare, all’ultimo momento la direzione di gara aveva concesso un bonus di 10 ore per i ritardatari. Riportata la Gilera ad Arcore, spiego le cause dei ritiri allo staff tecnico. Gianni Perini mi ascolta, registrando ogni minimo particolare, che di certo servirà come esperienza.

Subito mi propone di partecipare ad una maratona che si terrà tra poco in Spagna, la Baia Aragon, gara a staffetta per due piloti da fare con una R1 preparata. Accetto e scelgo Christian Grelaud come compagno. Purtroppo Christian rimarrà vittima di un incidente in auto pochi giorni prima della gara. Parteciperò ugualmente, anche per onorare la sua memoria, ma anche questa volta senza fortuna. Così chiuderò con la Gilera, non senza che i miei meriti siano stati riconosciuti quale promotore di una partecipazione che porterà alla Casa italiana tante soddisfazioni sportive°.

MICHEL DUHALDE E ROMOLO CIANCAMERLA

Non meno interessante anche il ricordo di Michel Duhalde, il meccanico francese incaricato dell’assistenza delle Gilera in terra d’Africa, e che fu invitato ad Arcore per la preparazione specifica. “Conosco Valade grazie alla mia BMW che ho trasformato in stile Parigi-Dakar. La moto gli piace e mi chiede se sono disposto a seguirlo nell’impresa Defi 125. Il suo entusiasmo mi contagia subito, ed il mio coinvolgimento sale alle stelle quando vengo scelto per andare ad Arcore al Reparto corse. Arrivo all’aeroporto di Linate la sera del 17 dicembre 1987 e vengo portato ad Arcore su una Lancia Thema Ferrari 8.32! Primo contatto con Gianni Perini e i meccanici del Reparto Corse ed Esperienze. Soprattutto con Silvano Galbusera stabilisco subito un buon rapporto, anche grazie al fatto che parla bene francese. Ci mettiamo subito al lavoro sulle due Peugeot per dotarle dei motori R1. Non è un lavoro facile: la marmitta, il silenziatore ed il filtro dell’aria sono incompatibili col telaio Peugeot.

Quindi Perini decide di utilizzare due R1 standard, dotandole dei componenti tolti alle due Peugeot. A sera chiamo Gilles Valade, e lo informo di tutto. Le scocche in carbonio vengono segate in due e se ne utilizza solo la parte posteriore, mentre alla forcella Marzocchi delle Peugeot si preferisce quella di serie della R1. Il lavoro procede rapidamente ed imparo tantissimo da questi professionisti del Reparto corse. A pranzo sono invitato alla mensa della Gilera e nel breve momento di relax, chiedo a Silvano qualche notizia sulla fabbrica e sulle moto. Ho in mente la bicilindrica da Cross utilizzata da Rinaldi solo per poche gare e poi scartata a causa del regolamento che vietava questo motore. Mi portano anche in un magazzino dove ci sono non meno di ottanta moto di tutte le epoche. Sono impolverate e abbandonate: è un vero peccato che la storia della Gilera sia trattata così! Ma il tempo stringe e il lavoro incombe.

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Ogni sera torno in albergo dove dormo poco e male, assalito da tutti i problemi tecnici e meccanici che continuamente si presentano. In Gilera fanno davvero del loro meglio, Perini mi ha addirittura regalato due tutte rosse con la scritta Gilera, così da farmi entrare ancor di più nell’ambiente. Si lavora senza tregua e con grande precisione. Così riusciamo a risolvere tutti i problemi, dal serbatoio, alle targhette di omologazione, al filtro dell’aria, alle piastre paramotore, ai due radiatori dell’acqua. Allo stesso modo superiamo brillantemente la difficoltà di installare il road book elettrico e la bussola sul manubrio. Poi saldiamo ai perni ruota delle levette per lo smontaggio rapido, e uniformiamo l’esagono a quello della candela così che con una sola chiave si possano smontare anche le ruote, modifichiamo il cavalletto ed eliminiamo la batteria, montando anche una bobina di scorta. Anche la sella viene realizzata apposta con una gomma piuma speciale molto resistente, e sono io a proporre di montare cavi e leve di scorta in posizione accessibile e pronti all’uso. In più i paramani sono rinforzati da barre in alluminio. Eliminiamo il motorino d’avviamento e il miscelatore.

Ciò che purtroppo non siamo in grado di risolvere, e che si rivelerà fatale, è la questione del pignone troppo grosso, che alla fine sfonderà il carter a causa della sabbia. Nemmeno Perini riesce a trovare qualcuno che ci realizzi un pignone più piccolo. L’unico risultato che otteniamo è di ricevere dalla Regina una catena 0-R di alta qualità da 520 (le Peugeot montano O-R Sedis da 428), come quella delle Cagiva 900 ufficiali. I giorni passano molto veloci e la mia settimana da Arcore si avvia alla fine. Il mio apporto non è comunque marginale, anzi sono fondamentale quando si tratta di montare le mousse Bib nelle Michelin delle ruote posteriori perché qui nessuno lo ha mai fatto prima. Dopo questa operazione le mie quotazioni salgono al punto che mi si chiede se non sono un tecnico della Michelin… Chiedo poi che i raggi siano sostituiti con altri più robusti, non senza però l’interessamento di Perini, che sceglie anche nuovi cerchi DID provenienti dal magazzino delle moto da Cross.

Le ruote davanti conservano invece i cerchi originali delle R1, e questo spiega perché siano anodizzate in oro, mentre le posteriori sono in color alluminio. Le moto sono quasi pronte, vengono messe a punto da un carburatorista della Dell’Orto e poi sono affidate per i primi giri a collaudatori Gilera. Infine sono caricate per portarle a Milano per la pre-partenza. E il 24 dicembre. Ho vissuto sette giorni entusiasmanti al Reparto Corse Gilera, un’esperienza molto importante per la mia vita, non solo professionale. Romolo Ciancamerla, per dieci anni in Gilera al Reparto corse, aggiunge ulteriori particolari alla storia.

Ogni sera torno in albergo dove dormo poco e male, assalito da tutti i problemi tecnici e meccanici che continuamente si presentano. In Gilera fanno davvero del loro meglio, Perini mi ha addirittura regalato due tutte rosse con la scritta Gilera, così da farmi entrare ancor di più nell’ambiente. Si lavora senza tregua e con grande precisione. Così riusciamo a risolvere tutti i problemi, dal serbatoio, alle targhette di omologazione, al filtro dell’aria, alle piastre paramotore, ai due radiatori dell’acqua. Allo stesso modo superiamo brillantemente la difficoltà di installare il road book elettrico e la bussola sul manubrio. Poi saldiamo ai perni ruota delle levette per lo smontaggio rapido, e uniformiamo l’esagono a quello della candela così che con una sola chiave si possano smontare anche le ruote, modifichiamo il cavalletto ed eliminiamo la batteria, montando anche una bobina di scorta. Anche la sella viene realizzata apposta con una gomma piuma speciale molto resistente, e sono io a proporre di montare cavi e leve di scorta in posizione accessibile e pronti all’uso. In più i paramani sono rinforzati da barre in alluminio. Eliminiamo il motorino d’avviamento e il miscelatore.

Ciò che purtroppo non siamo in grado di risolvere, e che si rivelerà fatale, è la questione del pignone troppo grosso, che alla fine sfonderà il carter a causa della sabbia. Nemmeno Perini riesce a trovare qualcuno che ci realizzi un pignone più piccolo. L’unico risultato che otteniamo è di ricevere dalla Regina una catena 0-R di alta qualità da 520 (le Peugeot montano O-R Sedis da 428), come quella delle Cagiva 900 ufficiali. I giorni passano molto veloci e la mia settimana da Arcore si avvia alla fine. Il mio apporto non è comunque marginale, anzi sono fondamentale quando si tratta di montare le mousse Bib nelle Michelin delle ruote posteriori perché qui nessuno lo ha mai fatto prima. Dopo questa operazione le mie quotazioni salgono al punto che mi si chiede se non sono un tecnico della Michelin… Chiedo poi che i raggi siano sostituiti con altri più robusti, non senza però l’interessamento di Perini, che sceglie anche nuovi cerchi DID provenienti dal magazzino delle moto da Cross.

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Le ruote davanti conservano invece i cerchi originali delle R1, e questo spiega perché siano anodizzate in oro, mentre le posteriori sono in color alluminio. Le moto sono quasi pronte, vengono messe a punto da un carburatorista della Dell’Orto e poi sono affidate per i primi giri a collaudatori Gilera. Infine sono caricate per portarle a Milano per la pre-partenza. E il 24 dicembre. Ho vissuto sette giorni entusiasmanti al Reparto Corse Gilera, un’esperienza molto importante per la mia vita, non solo professionale. Romolo Ciancamerla, per dieci anni in Gilera al Reparto corse, aggiunge ulteriori particolari alla storia.

Si ringrazia per l’articolo: Motociclismo, Motociclismo d’Epoca e Motociclismo Fuoristrada.

DAKAR 1996 | La regina è la Yamaha

La XTZ 850 RX ha vinto la Dakar 1996; il mezzo a disposizione di Edi Orioli era praticamente lo stesso di Stephane Peterhansel. “Asso nella ammortizzatore_1996manica” del potente bicilindrico di 850 cc è stato un nuovo mono-ammortizzatore, studiato in Francia in collaborazione con un equipe di tecnici statunitensi. Di tipo tradizionale, in merito all’estetica, può essere annoverato tra la nuova generazione delle sospensioni ovvero quelle dette “intelligenti”.

Una sonda all’interno del meccanismo, immersa nell’olio, consente di anticipare il movimento dello stesso, rendendo ancor più aderente la ruota al terreno, copiando e assorbendo le asperità del percorso. Il funzionamento di questo ammortizzatore è meccanico. In realtà, se nella prima parte dell’itinerario ha svolto ottimamente il proprio compito, poi questo sistema è andato un po’ in crisi nella seconda parte della gara (soprattutto sulla moto di Orioli), quando ha trovato un terreno particolarmente accidentato.

Nell’ultima tappa Edi ha addirittura dovuto terminare la gara ad andatura ridottissima, proprio per la rottura della testa di questa ammortizzatore. Ottimo al contrario il motore, affidabile e potente. E’ in praticata una versione aggiornata e corretta dell’850 TDM, in grado di sviluppare circa 90 cv. Dispone di raffreddamento a liquido, cinque valvole per cilindro e doppio albero a camme in testa comandati da catena Morse. L’avviamento è elettrico e il sistema di lubrificazione a carter secco.

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Il telaio è lo stesso della scorsa stagione, mototrave scatolato; la forcella è una Kayaba a steli rovesciati da 46 mm di diametro. La moto di Orioli montava un paracoppa in kevlar. I problemi di alimentazione registrati dal mezzo di Peterhansel, sembrano dovuti interamente ad una fornitura di carburante non particolarmente pulito; problema registrato anche da altri concorrenti. E’ l’ottava vittoria assoluta della Yamaha alla Dakar. In questa edizione è salita sul primo gradino del podio ben otto volte.

Tratto da Motociclismo | Testo: Biagio Maglienti

Dakar 1996 | Edi mette la quarta!

E’ stato il rally degli avventurieri, lo sfogo degli ammalati di “mal d’Africa”, la costosa vetrina del jet-set internazionale, la gara impossibile per veri professionisti e ha finito per creare una vera e propria moda sulla quale la nostra industria ha vissuto per diverso tempo. Seguendo il suo esempio le competizioni nel deserto hanno iniziato a farsi conoscere e a crescere d’importanza.

Poi la moda è un po’ cambiata; il costo di partecipazione a queste gare è divenuto in-sostenibile per i privati e sembrava che dovessero sparire definitivamente dalla scena internazionale. Ma il rally africano per eccellenza ha avuto la forza di “rifarsi il trucco” e riproporsi come esempio trainante per altri raid. Abbandonati i fronzoli e l’inutile, è ritornato ad essere concreto, avvincente e spettacolare e soprattutto a portata di mano per tutti.

La nuova edizione della maratona africana ha salutato il quarto successo di Edi Orioli, su Yamaha. La nuova formula riscuote ampi consensi e riporta questa gara a discreti livelli d’interesse. Continua il duello tra monocilindriche e bicilindriche.

Ma purtroppo anche tragico. Il tributo di vite umane sacrificate dalla Dakar, anche per quest’anno, è sta-to pesante: due morti. Laurent Gueguen, 27 anni, sposato e padre di due figli, al volante del camion di assistenza Citroen è saltato su una mina (con tutta probabilità), durante la quinta tappa. Marcel Pilet, in sella alla sua KTM, nell’attraversamento del villaggio di Terambeli, a 30 chilometri da Labé, ha investito una bimba, uccidendola.

Velocissimo, 3 tappe vinte e secondo assoluto: Jordi Arcarons

Velocissimo, 3 tappe vinte e secondo assoluto: Jordi Arcarons

Prosegue così, purtroppo, il lungo elenco di giorni nefasti che marchia indelebilmente questa competizione, quasi fosse costretta a pagare un vero e proprio tributo per aver violato terre incontaminate. Da sempre fatalità o sfortuna sono le compagne della Dakar e in qualche modo hanno spesso avuto il sopravvento su spettacolo e spirito d’avventura, costanti positive del rally.

Nel corso degli anni gli organizzatori hanno ricercato formule più adeguate alle esigenze dei piloti e del-l’intera carovana che per quindici giorni e oltre 10 mila chilometri di piste, affrontava questa esperienza. Purtroppo non sempre le scelte sono state azzeccate e spesso hanno fini-to per tradire le aspettative, senza garantire quello spettacolo legato al-l’avventura che rimane il motivo trainante di questa gara.

Oggi, di quella carovana miliardaria che attraversava il deserto sino a qualche anno fa non è rimasta più traccia. Chi l’avrebbe mai detto. Dopo aver toccato il fondo negli anni ’93/94, quasi dimenticata, la Dakar, l’avventura per pochi inarrestabili amanti del confronto con “l’impossibile”, è ritornata a destare un certo interesse tra gli appassionati. E soprattutto la moto e la competizione motociclistica sono il nuovo elemento trainante di questa gara.

Lo spagnolo Sotelo, terzo nell'assoluta

Lo spagnolo Sotelo, terzo nell’assoluta

Il merito? Certamente di Hubert Auriol, ex-dakariano della prima ora, vincitore di due edizioni in sella ad una due ruote e dell’ultima seduto al volante di una 4×4. Il solo pilota capace di imporsi in queste due categorie. Il francese, attuale direttore della TSO, pare aver indovinato la formula giusta, riportando al ruolo che spettava di diritto la regina delle competizioni africane. Ha preso in mano lo scettro della Dakar nel 1994, dopo la fallimentare esperienza di Gilbert Sabine.

E presto è riuscito a dare una nuova identità a questo rally, seguendo il principio del ritorno alle origini. La gara ha sempre vissuto sulla presenza dei privati e di chi fondamentalmente fosse attratto dal-l’avventura e dall’Africa. La formula attuale, infatti, ha consentito con una spesa “modesta” rispetto al recente passato di iscriversi un po’ a tutti. L’esperienza maturata da Auriol in questi anni e la sua stessa grande passione per l’Africa, hanno consentito alla Dakar di ritornare ad essere spettacolare, affascinante e, per quanto possibile, sicura.

Soprattutto il nuovo direttore e il suo staff sono stati in grado di individuare e risolvere i problemi e gli errori che in passato hanno condizionato questa gara. Serviva un uomo dal pugno di ferro, che fosse in grado di decidere per tutti, con la responsabilità delle vite di centinaia di persone. Un impegno non da poco, quello assunto da Auriol, il ritrovato condottiero di questa gara. Quest’anno il numero delle iscrizioni è aumentato del 25% rispetto all’edizione 1995, giungendo alla cifra record di quasi 300 piloti, 140 motociclisti.

I concorrenti, inoltre, hanno potuto scoprire un percorso inedito nel 70%, adatto sia alle bicilindriche sia alla nuova “moda” delle monocilindriche. Pochi i trasferimenti, che secondo Auriol deconcentrano i piloti e sono spesso causa di incidenti e soprattutto un percorso particolarmente vario, con 15 tappe una diversa dall’altra. Particolare attenzione ha rivestito anche la parte della copertura televisiva e stampa. con oltre 80 paesi interessati ai collegamenti in diretta con le tappe del raid.

Nonostante tutto, l’ineffabile organizzazione messa in piedi dal francese ha finito per scontrarsi contro la fatalità, l’imprevisto e l’evento ineluttabile. Ma i rally, come del resto tutte le competizioni motoristiche, sono purtroppo anche questo. Di certo è che questa Dakar sembra avviata verso un nuovo ciclo, così come tutti i rally di questo genere. La Desert Cannonball, il Rally di Tunisia e l’Atlas Rally ne sono la dimostrazione; hanno rinnovato la loro formula, tenendo in particolare considerazione le esigenze (anche economiche) dei “privati” e riscuotendo un discreto successo.

Le Case si sono organizzate per vendere a cifre abbordabili moto preparate, garantendo anche un’adeguata assistenza in gara. Potrebbe trattarsi della “pista” giusta per ritornare a dare definitivamente interesse ad una disciplina motoristica spettacolare.

QUARTO SUCCESSO: EDI INDOMABILE
Il Lago Rosa ha salutato il “poker” di Edi Orioli. Il trentatreenne pilota di Ceresetto di Martignacco ha centrato la sua quarta Dakar. Un successo giunto un po’ a sorpresa, ma spiegabile con la sua lunga esperienza nei rally. Edi da queste gare ha ereditato tutto, successo, soldi, riconoscimenti professionali, tanto quanto neppure le vittorie nell’enduro internazionale gli avevano assicurato.

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Quest’ultima è stata un’edizione della Dakar tra le più dure che si ricordano. Il nuovo percorso era particolarmente difficile e anche se il GPS ha dato una grandissima mano ai concorrenti, la navigazione e soprattutto l’intelligenza tattica e di gara hanno avuto il loro peso determinante. Il ritorno del percorso lungo le piste della Mauritania, il passo di Iguekkateme, sempre in quella zona, e il duro tracciato della Guinea, sono stati determinanti.

Solo 50 i piloti all’arrivo su 140 motociclisti che hanno preso il via. I 6.000 chilometri di prove speciali hanno lasciato il segno. Per arrivare alla meta era necessario risparmiare il mezzo e le energie. E poi ai concorrenti si è presentato un insolito scenario, l’“herbe à chameaux” ovvero dei cespugli infernali tra la sabbia e le dune che spezzavano il ritmo, ma soprattutto le braccia. Nella prima e nell’ultima parte del percorso, in particolar modo, l’abbondante pioggia ha consentito a questo tipo di vegetazione, tradotta letteralmente in “erba per cammelli”, di crescere rigogliosa, creando un ulteriore ostacolo.

Molti i copli di scena, s’inizia con Heinz Kinigadner, il primo favorito ad abbandonare il palcoscenico con la sua KTM, ritiratosi a cinquanta chilometri dal traguardo della sesta tappa. L’austriaco ha dovuto ritornare a casa con

Sfortunato Heinz Kinigadner, costretto al ritiro

Sfortunato Heinz Kinigadner, costretto al ritiro

all’attivo un successo e due secondi posti. Diversa sorte per Jordi Arcarons, del team KTM Lucky Strike, il solo in grado di inseguire lo scatenato Orioli, anche se ha terminato secondo a oltre un’ora dal pilota Yamaha. Sfortunata la prestazione del team italiano Cagiva CH Racing di Roberto Azzalin. Schierava al via tre moto ufficiali Cagiva Elefant con il marchio Kremlyovskaya, affidate a Davide TrolliAlexander Nifontov e Cyril Esquirol.

Scatenato l'italiano Trolli, due speciali vinte, ma purtroppo costretto al ritiro

Scatenato l’italiano Trolli, due speciali vinte, ma purtroppo costretto al ritiro

L’italiano sino al terzultima tappa è stato in gara, cogliendo due successi parziali, due secondi posti e due terzi. Purtroppo si è dovuto arrendere per problemi al motore quando in rimonta tallonava il capoclassifica. La svolta della gara si è avuta nel corso della tappa che portava a Zouerat, quando il favorito Stephane Peterhansel ha avuto grossi problemi alla sua bicilindrica. Il reclamo 

presentato dalla Yamaha Motor France parlava di gasolio nel serbatoio al posto della benzina; i rilevamenti non hanno potuto accertare sino in fondo la causa e quindi l’organizzazione ha respinto il reclamo. Peterhansel, con quasi tre ore di ritardo sul primo, aveva chiesto l’annullamento della prova; non soddisfatto decideva di abbandonare la gara in forma di protesta.

A questo punto iniziava la galoppata solitaria di Edi Orioli, divenuto nuovo leader della classifica generale. Controllava Trolli e successivamente Arcarons, con un margine di vantaggio sufficiente per guidare in scioltezza. Un piccolo problema di alimentazione, probabilmente benzina sporca anche per lui, gli ha fatto perdere preziosi minuti, come un problema all’ammortizzatore posteriore lo ha costretto a rallentare notevolmente nell’ultima tappa.

Una vittoria a testa anche per Kari Tiainen con l’Husqvarna e Thierry Magnaldi di con la Yamaha. Per quanto riguarda gli italiani, oltre a Trolli si è ben comportato Fabrizio Meoni in sella alla KTM con due successi personali e un trentanovesimo posto finale. Buone anche le prove di Guido Maletti con la Kawasaki, sesto nella assoluta, Massimo Chiesa ottavo, Emanuele Cristianelli tredicesimo, Aldo Winkler diciannovesimo, Angelo Fumagalli ventesimo e Alberto Morelli giunto quarantanovesimo.

 

Tratto da Motociclismo
Testo: Biagio Maglienti
Foto: Gigi Soldano DPPI

Marc Joineau Dakar 1982 | Le insidie si nascondono ovunque

Dopo una serie infinita di forature, a Gao sono tornato nei primi dieci. Nel difficile anello di Gao/Mopti/Gao ai piedi del monte Humbori, che ricordo per le terribili rocce aguzze, mi accodo a Patrick Drobecq per decollare nelle grandi curve veloci e avviarmi alla mia seconda vittoria di tappa.

Provate ad immaginare: 540 km corsi in 10h 06 min, sono arrivato proprio al calar della notte. Finalmente eccomi di nuovo tra i primi 5, comincio a credere di poter vincere questo rally. Nel frattempo perdo mio fratello Philippe che cadendo si rompe il piede, e mi ritrovo da solo da solo in pista, non ho più nessuno che mi possa aiutatare nella lotta contro i piloti ufficiali.

E poi arriva la maledetta prova speciale di Timbuktu Niono dine 560 km. All’inizio mi illudo che tutto vada bene. Risalgo sui miei diretti concorrenti e arrivo al camion della benzina in mezzo al nulla, e dalla dubbia provenienza.

Faccio il pieno di una dubbia miscela di benzina, cherosene e qualche altro componente combustibile e riparto.  Dopo solo 10 km dopo il mio motore rallenta, borbotta, rantola e mi abbandona inchiodato. Aspetto 6 ore il camion su cui avevo un motore di riserva, lo monto ma arrivo 50 minuti fuori tempo massimo e mi affliggono una penalità di 15 ore.  Che beffa. Non me lo meritavo. Sono crollato in fondo alla classifica. Cyril Neveu vince la Dakar 1982 anche se al momento del mio guaio con la benzina ero di mezz’ora davanti a lui in classifica generale.

Riesco ad avere ancora la forza di vincere una tappa speciale prima del traguardo.
Ripenso spesso a quel rifornimento e mi perseguiterà ancora per molto tempo.

N.d.r. Marc Joineau vinse 2 tappe nella Dakar 1982, e concluse al 17mo posto nell’assoluta.

Dakar 1996, la disfatta Cagiva

Il bicilindrico Ducati era praticamente lo stesso della precedente stagione, ovvero il collaudato due cilindri a V di 90°, 904 cc albero a camme in testa e due valvole per cilindro a comando desmodromico. Il cambio è a cinque rapporti, la frizione a dischi multipli a secco. La moto portata in gara da Trolli sviluppa circa 80 cv di potenza massima. L’accensione è elettronica a scarica induttiva con anticipo variabile.

Nella foto si nota il supporto del motore costruito sul posto con una barra di ferro.

Nella foto si nota il supporto del motore costruito sul posto con una barra di ferro.

Uguali anche il moammortizzatore Ohlins con regolazione frenatura in compressione e estensione e la forcella Marzocchi da 45 mm con un’escursione di 290 millimetri. Le modifiche riguardano in parte la carenatura con un disegno più aerodinamico, una diversa taratura delle sospensioni e un leggero spostamento in avanti della guida, con conseguente diverso posizionamento della sella e del serbatoio.

Anche le pedane sono state spostate verso il retro della moto, per rendere più agevole la guida. La capacità del serbatoio anteriore è di 22 litri, mentre quello posteriore contiene 25 litri. Il telaio è praticamente uguale a quello della moto di serie con l’aggiunta di alcuni fazzoletti di rinforzo nelle zone posteriore e all’altezza dell’attacco del forcellone. E’ nella parte superiore a traliccio in tubi d’acciaio a sezione quadra e con la culla inferiore in tubi quadri in lega leggera.

Cyril Equirol

Cyril Equirol

I mezzi in gara hanno registrato la rottura del supporto di sostegno superiore del motore. Sui mezzi ufficiali si è ovviato a questo inconveniente apportando una modifica studiata e realizzata (anche con l’aiuto di artigiani locali) sul posto. Una barra di ferro rinforzava e sosteneva il propulsore legando il carter al telaio nella zona sotto il serbatoio. A 435 km dall’arrivo a Labè in Guinea, Trolli ha dovuto dire addio alla rincorsa ad Orioli a causa della rottura del propulsore.

Nella tappa precedente il piacentino era stato sfortunato rompendo il comando del gas e attardandosi ulteriormente. In panne anche Cyril Equirol e Alexander Nifontov, entrambi costretti al ritiro. La prima delle dieci Cagiva preparate da Azzalin è giunta al settimo posto, guidata dallo spagnolo Oscar Gallardo.

Advertising Cagiva 1994