E’ stato il rally degli avventurieri, lo sfogo degli ammalati di “mal d’Africa”, la costosa vetrina del jet-set internazionale, la gara impossibile per veri professionisti e ha finito per creare una vera e propria moda sulla quale la nostra industria ha vissuto per diverso tempo. Seguendo il suo esempio le competizioni nel deserto hanno iniziato a farsi conoscere e a crescere d’importanza.
Poi la moda è un po’ cambiata; il costo di partecipazione a queste gare è divenuto in-sostenibile per i privati e sembrava che dovessero sparire definitivamente dalla scena internazionale. Ma il rally africano per eccellenza ha avuto la forza di “rifarsi il trucco” e riproporsi come esempio trainante per altri raid. Abbandonati i fronzoli e l’inutile, è ritornato ad essere concreto, avvincente e spettacolare e soprattutto a portata di mano per tutti.
La nuova edizione della maratona africana ha salutato il quarto successo di Edi Orioli, su Yamaha. La nuova formula riscuote ampi consensi e riporta questa gara a discreti livelli d’interesse. Continua il duello tra monocilindriche e bicilindriche.
Ma purtroppo anche tragico. Il tributo di vite umane sacrificate dalla Dakar, anche per quest’anno, è sta-to pesante: due morti. Laurent Gueguen, 27 anni, sposato e padre di due figli, al volante del camion di assistenza Citroen è saltato su una mina (con tutta probabilità), durante la quinta tappa. Marcel Pilet, in sella alla sua KTM, nell’attraversamento del villaggio di Terambeli, a 30 chilometri da Labé, ha investito una bimba, uccidendola.
Velocissimo, 3 tappe vinte e secondo assoluto: Jordi Arcarons
Prosegue così, purtroppo, il lungo elenco di giorni nefasti che marchia indelebilmente questa competizione, quasi fosse costretta a pagare un vero e proprio tributo per aver violato terre incontaminate. Da sempre fatalità o sfortuna sono le compagne della Dakar e in qualche modo hanno spesso avuto il sopravvento su spettacolo e spirito d’avventura, costanti positive del rally.
Nel corso degli anni gli organizzatori hanno ricercato formule più adeguate alle esigenze dei piloti e del-l’intera carovana che per quindici giorni e oltre 10 mila chilometri di piste, affrontava questa esperienza. Purtroppo non sempre le scelte sono state azzeccate e spesso hanno fini-to per tradire le aspettative, senza garantire quello spettacolo legato al-l’avventura che rimane il motivo trainante di questa gara.
Oggi, di quella carovana miliardaria che attraversava il deserto sino a qualche anno fa non è rimasta più traccia. Chi l’avrebbe mai detto. Dopo aver toccato il fondo negli anni ’93/94, quasi dimenticata, la Dakar, l’avventura per pochi inarrestabili amanti del confronto con “l’impossibile”, è ritornata a destare un certo interesse tra gli appassionati. E soprattutto la moto e la competizione motociclistica sono il nuovo elemento trainante di questa gara.
Lo spagnolo Sotelo, terzo nell’assoluta
Il merito? Certamente di Hubert Auriol, ex-dakariano della prima ora, vincitore di due edizioni in sella ad una due ruote e dell’ultima seduto al volante di una 4×4. Il solo pilota capace di imporsi in queste due categorie. Il francese, attuale direttore della TSO, pare aver indovinato la formula giusta, riportando al ruolo che spettava di diritto la regina delle competizioni africane. Ha preso in mano lo scettro della Dakar nel 1994, dopo la fallimentare esperienza di Gilbert Sabine.
E presto è riuscito a dare una nuova identità a questo rally, seguendo il principio del ritorno alle origini. La gara ha sempre vissuto sulla presenza dei privati e di chi fondamentalmente fosse attratto dal-l’avventura e dall’Africa. La formula attuale, infatti, ha consentito con una spesa “modesta” rispetto al recente passato di iscriversi un po’ a tutti. L’esperienza maturata da Auriol in questi anni e la sua stessa grande passione per l’Africa, hanno consentito alla Dakar di ritornare ad essere spettacolare, affascinante e, per quanto possibile, sicura.
Soprattutto il nuovo direttore e il suo staff sono stati in grado di individuare e risolvere i problemi e gli errori che in passato hanno condizionato questa gara. Serviva un uomo dal pugno di ferro, che fosse in grado di decidere per tutti, con la responsabilità delle vite di centinaia di persone. Un impegno non da poco, quello assunto da Auriol, il ritrovato condottiero di questa gara. Quest’anno il numero delle iscrizioni è aumentato del 25% rispetto all’edizione 1995, giungendo alla cifra record di quasi 300 piloti, 140 motociclisti.
I concorrenti, inoltre, hanno potuto scoprire un percorso inedito nel 70%, adatto sia alle bicilindriche sia alla nuova “moda” delle monocilindriche. Pochi i trasferimenti, che secondo Auriol deconcentrano i piloti e sono spesso causa di incidenti e soprattutto un percorso particolarmente vario, con 15 tappe una diversa dall’altra. Particolare attenzione ha rivestito anche la parte della copertura televisiva e stampa. con oltre 80 paesi interessati ai collegamenti in diretta con le tappe del raid.
Nonostante tutto, l’ineffabile organizzazione messa in piedi dal francese ha finito per scontrarsi contro la fatalità, l’imprevisto e l’evento ineluttabile. Ma i rally, come del resto tutte le competizioni motoristiche, sono purtroppo anche questo. Di certo è che questa Dakar sembra avviata verso un nuovo ciclo, così come tutti i rally di questo genere. La Desert Cannonball, il Rally di Tunisia e l’Atlas Rally ne sono la dimostrazione; hanno rinnovato la loro formula, tenendo in particolare considerazione le esigenze (anche economiche) dei “privati” e riscuotendo un discreto successo.
Le Case si sono organizzate per vendere a cifre abbordabili moto preparate, garantendo anche un’adeguata assistenza in gara. Potrebbe trattarsi della “pista” giusta per ritornare a dare definitivamente interesse ad una disciplina motoristica spettacolare.
QUARTO SUCCESSO: EDI INDOMABILE
Il Lago Rosa ha salutato il “poker” di Edi Orioli. Il trentatreenne pilota di Ceresetto di Martignacco ha centrato la sua quarta Dakar. Un successo giunto un po’ a sorpresa, ma spiegabile con la sua lunga esperienza nei rally. Edi da queste gare ha ereditato tutto, successo, soldi, riconoscimenti professionali, tanto quanto neppure le vittorie nell’enduro internazionale gli avevano assicurato.
Quest’ultima è stata un’edizione della Dakar tra le più dure che si ricordano. Il nuovo percorso era particolarmente difficile e anche se il GPS ha dato una grandissima mano ai concorrenti, la navigazione e soprattutto l’intelligenza tattica e di gara hanno avuto il loro peso determinante. Il ritorno del percorso lungo le piste della Mauritania, il passo di Iguekkateme, sempre in quella zona, e il duro tracciato della Guinea, sono stati determinanti.
Solo 50 i piloti all’arrivo su 140 motociclisti che hanno preso il via. I 6.000 chilometri di prove speciali hanno lasciato il segno. Per arrivare alla meta era necessario risparmiare il mezzo e le energie. E poi ai concorrenti si è presentato un insolito scenario, l’“herbe à chameaux” ovvero dei cespugli infernali tra la sabbia e le dune che spezzavano il ritmo, ma soprattutto le braccia. Nella prima e nell’ultima parte del percorso, in particolar modo, l’abbondante pioggia ha consentito a questo tipo di vegetazione, tradotta letteralmente in “erba per cammelli”, di crescere rigogliosa, creando un ulteriore ostacolo.
Molti i copli di scena, s’inizia con Heinz Kinigadner, il primo favorito ad abbandonare il palcoscenico con la sua KTM, ritiratosi a cinquanta chilometri dal traguardo della sesta tappa. L’austriaco ha dovuto ritornare a casa con
Sfortunato Heinz Kinigadner, costretto al ritiro
all’attivo un successo e due secondi posti. Diversa sorte per Jordi Arcarons, del team KTM Lucky Strike, il solo in grado di inseguire lo scatenato Orioli, anche se ha terminato secondo a oltre un’ora dal pilota Yamaha. Sfortunata la prestazione del team italiano Cagiva CH Racing di Roberto Azzalin. Schierava al via tre moto ufficiali Cagiva Elefant con il marchio Kremlyovskaya, affidate a Davide Trolli, Alexander Nifontov e Cyril Esquirol.
Scatenato l’italiano Trolli, due speciali vinte, ma purtroppo costretto al ritiro
L’italiano sino al terzultima tappa è stato in gara, cogliendo due successi parziali, due secondi posti e due terzi. Purtroppo si è dovuto arrendere per problemi al motore quando in rimonta tallonava il capoclassifica. La svolta della gara si è avuta nel corso della tappa che portava a Zouerat, quando il favorito Stephane Peterhansel ha avuto grossi problemi alla sua bicilindrica. Il reclamo
presentato dalla Yamaha Motor France parlava di gasolio nel serbatoio al posto della benzina; i rilevamenti non hanno potuto accertare sino in fondo la causa e quindi l’organizzazione ha respinto il reclamo. Peterhansel, con quasi tre ore di ritardo sul primo, aveva chiesto l’annullamento della prova; non soddisfatto decideva di abbandonare la gara in forma di protesta.
A questo punto iniziava la galoppata solitaria di Edi Orioli, divenuto nuovo leader della classifica generale. Controllava Trolli e successivamente Arcarons, con un margine di vantaggio sufficiente per guidare in scioltezza. Un piccolo problema di alimentazione, probabilmente benzina sporca anche per lui, gli ha fatto perdere preziosi minuti, come un problema all’ammortizzatore posteriore lo ha costretto a rallentare notevolmente nell’ultima tappa.
Una vittoria a testa anche per Kari Tiainen con l’Husqvarna e Thierry Magnaldi di con la Yamaha. Per quanto riguarda gli italiani, oltre a Trolli si è ben comportato Fabrizio Meoni in sella alla KTM con due successi personali e un trentanovesimo posto finale. Buone anche le prove di Guido Maletti con la Kawasaki, sesto nella assoluta, Massimo Chiesa ottavo, Emanuele Cristianelli tredicesimo, Aldo Winkler diciannovesimo, Angelo Fumagalli ventesimo e Alberto Morelli giunto quarantanovesimo.
Tratto da Motociclismo
Testo: Biagio Maglienti
Foto: Gigi Soldano DPPI