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J.P. Mingels Dakar 1983

J.P. Mingels Yamaha Sonauto Dakar 1983

Cover Magazine Moto Verte 1986

Copertina dedicata ad Andrea Marinoni su Yamaha su Moto Verte del 1986.

Faccia d’Angelo pronto per la Dakar 1989

Sognava di fare lo sciatore, invece è divenuto un famoso campione di enduro che cercherà gloria e fama anche alla Parigi-Dakar, se è vero che prima di lui altri piloti dell’enduro hanno conquistato nella capitale del Senegal un posto sul podio. Nel frattempo Angelo Signorelli, quest’anno, si è accontentato di vincere dapprima il campionato europeo, poi la Sei Giorni di enduro, sempre con la KTM 125, ed è ancora in lotta per vincere anche il titolo italiano.

Alle corse è arrivato seguendo le orme dello zio Giuseppe che nelle vesti di campione ormai affermato e di pilota ufficiale lo presentò giovanissimo alla Fantic Motor, per lavorare come collaudatore. Poco per volta, Angelo divenne invece pilota-collaudatore, finendo per fare solo il pilota grazie ai successi conseguiti nelle piccole cilindrate. Appiedato dal ritiro della Fantic ed in età di servizio di leva, Signorelli entra a far parte delle Fiamme Oro passando nel 1982 alla Kramit e successivamente, dall’84, alla KTM-Farioli. Sempre disponibile al colloquio e con una carica di simpatia non indifferente, Signorelli viene definito da molti dell’ambiente come il play-boy dell’enduro, visto che lontano dalle corse, ma anche sui campi di gara, non è raro incontrarlo in compagnia di graziose fans, dopo essere apparso in alcune pagine pubblicitarie della KTM di qualche anno fa con una stupenda ragazza orientale fra le braccia. Scapolo d’oro e rubacuori incallito, Signorelli è però indiscutibilmente un professionista serissimo ed un vero e proprio «professore» di tecnica nelle prove e nella messa a punto di ogni particolare della moto, come pure talento naturale indiscutibile.
Il carattere cordiale e la grande volontà di riuscire, tipica della gente bergamasca, gli hanno poi permesso di raggiungere tutti i traguardi che di volta in volta si è prefissato, divenendo dapprima campione nelle piccole 50 cc, poi nella 80, poi ancora nella 125. Ora che correrà la Parigi-Dakar con la Yamaha del Team Chesterfield Scout potrà anche acquisire quell’esperienza che già in parte possiede per emergere anche nei lunghi raid africani.

«Non mi faccio nessuna illusione» dice Signorelli «la Dakar è per me una gara nuova ed anche se non sono nuovo a correre dei raily nel deserto, ho ancora bisogno di molta esperienza».

– Ma cosa ti ha portato ad accettare un contratto di tre anni con la Yamaha Belgarda?
«Già lo scorso anno avevo corso il RaIly dei Faraoni con la Belgarda e sicuramente avevo fatto una buona impressione prima dell’incidente che mi è costato la frattura di una clavicola e di una mano quando ero ancora tra i primi. Verso il mese di luglio sono stato nuovamente contattato da Papi che mi ha proposto un programma decisa mente interessante. Ne ho parlato con Farioli e dopo aver lungamente meditato sulla decisione da prendere ho scelto, anche se a malincuore per tutto l’ambiente KTM a cui ero legato ormai da 5 anni, di firmare un contratto triennale con la Belgarda. Il mio prossimo programma prevede la partecipazione ai più importanti rally a cui prenderà parte il Team ed ai vari campionati di enduro dove dovrei correre o nella 250 con una nuova moto o nella 125, oppure nella 350 4 T».

– Come hanno preso alla KTM questa tua decisione?
«Ogni pilota a fine stagione riceve sem pre delle proposte. Ma come spesso purtroppo accade le strade si possono dividere. Io sono comunque sicuro di avere scelto il programma più stimolante. Non è comunque stata una decisione facile perché lascia re la KTM voleva dire lasciare le persone con ci vivevo da cinque anni con un rapporto che era ormai andato ben oltre il semplice fatto di essere un pilota».

Come pensi che verrà affrontato e risolto il tuo problema di correre quest’anno la Dakar, visto che il rally prenderà il via il 25 dicembre ed il tuo contratto scadrà solo il 31?
«Spero che tutto si risolva per il meglio anche se devo ancora affrontare il problema con Farioli che per quanto mi riguarda si è sempre comportato in modo più che corretto.

Come ti vedi inserito in una squadra che ha grosse ambizioni di vincere la Dakar?
«Conosco benissimo Marinoni. Picco un po’ meno, anche se con lui mi sono trovato alla perfezione durante il RaIly dei Faraoni dello scorso anno. Poco o niente Neveu. Io non ho comunque nessuna ambizione in quanto il mio obiettivo principale rimane quello di fare esperienza ed una buona assistenza nelle vesti di gregario. L’anno prossimo se tutto andrà bene spero di essere un po’ più libero e chissà mai che fra tre anni possa vestire io i panni di pilota di punta».

– Il 1988 è stato fino ad oggi un anno d’oro per te. Te lo aspettavi che sarebbe stato così?
«Quando all’inizio della stagione Farioli mi ha detto che avrei dovuto correre nella 125 sono stato felicissimo perché per tutto il 1987 avevo corso nella 500 non riuscendo mai ad esprimermi al meglio delle mie possibilità. Ho iniziato una preparazione dura sotto tutti i punti di vista intensificando ancor più gli allenamenti quando ho vista che i risultati erano sempre più positivi».

– Nell’ambiente sei benvoluto d tutti ed in particolare modo sei uno dei piloti più richiesti in assoluto dalle ragazze. Come si giustifica questo, considerando che tra alcuni team esiste un forte attrito?

«Che vinca o che perda rimango sempre quello che sono ed è forse per questo motivo che sono simpatico a tutti. La storia delle ragazze, o che io sia un play-boy non è assolutamente vera anche se non mi dispiace soffermarmi a parlare o a conoscere meglio le ragazze… Naturalmente il più possibile carine!».

– Il fatto di essere stato nominato «gregario» di Cyril Neveu non ti spaventa un po’?
«Essere il secondo di Neveu che nella sua carriera ha già vinto cinque volte la Dakar è per me un grande onore».

– Perché ti definisci gregario quando hai le possibilità ed anche le capacità di non esserlo?
«Lo ripeto: credo di avere bisogno di fare molta più esperienza di quella che ho già per arrivare a Dakar svolgendo al meglio il mio compito di uomo ombra di Neveu. Se poi tra qualche anno divenissi il nuovo Orioli…sarei ovviamente molto felice»

di Dario Agrati (Motosprint)
http://www.motowinners.it/fuoriclasse%20Bg/SignorelliA/ASignorelli.htm

 

 

Franco Picco Dakar 1990…è andato tutto storto!

Avrebbe dovuto essere la Dakar del successo. Invece per Franco Picco si è trasformata in una gara durissima, nella quale è stato costretto a stringere i denti per resistere alla fortissima infezione intestinale che lo ha buttato a terra, lo ha costretto a sudare per arrivare, e certo non nella posizione che voleva.

«Era una mia precisa scelta tattica quella di cominciare ad attaccare solo dopo metà gara spiega ma quando è arrivata la Mauritania stavo malissimo, faticavo a restare sulla moto, e mi sembrava di avere la testa piena d’acqua. Addirittura sono stato due giorni senza mangiare per non dovermi fermare in prova speciale, carta igienica alla mano, ma bevendo solo acqua si perdono completamente le forze. Sono arrivato perché concludere la Dakar è pur sempre un risultato, ma non è certo quello che volevo io. Terzo, quarto, quinto o secondo non fa molta differenza». Una delusione totale, insomma? «Spesso arrivi a prendere la decisione di smettere proprio perché hai lavorato come un matto tutto l’anno solo per quel risultato, e poi vedi che perdi la gara per cose del genere: ti cadono le braccia, ti viene da pensare che sia inutile insistere. Sudi, fatichi, rischi anche di farti male davvero e poi basta un nonnulla per man-dare tutto in fumo. Come quel salto in cui sono caduto, nella prima parte della corsa: ci sono passati tutti senza il minimo problema, è bastato appena un piccolo colpo di gas ed io mi sono rovesciato. Un attimo e rischi di mandare tutto in fumo».

C’è stato anche il problema di presentarsi con una moto totalmente nuova.

«Già, c’erano da rifare tutte le esperienze dopo tanti anni con le monocilindriche. Però per fare le cose bene bisognerebbe poter cominciare a febbraio con le prove, perché ci vuole tempo per i collaudi, ed eventualmente per modificare ciò che non va. È un problema perché una ditta non può lavorare tutto l’anno solo per la Parigi-Dakar e le prove cominciano sempre a metà settembre, ma bisognerà riuscirci, anche perché così avrò più tempo per allenarmi con la moto da gara: più si va avanti e più l’allenamento è necessario, e forse avrei avuto bisogno di averne fatto un po’ di più con la bicilindrica, quest’anno».

C’è una certa rivalità tra te ed Orioli: ti dispiace che abbia vinto? «Certo mi dispiace che abbia vinto lui. Ma solo perché vuol dire che non ho vinto io!».

Fonte Motosprint

 

 

Advertising Yamaha 1992

Pagina pubblicitaria su Motosprint 1992 che celebra la vittoria di Massimo Montebelli nella categoria Marathon della Dakar.

Giampiero Findanno – Dakar 1985

David Frétigné – Dakar 2004

David Frétigné 7° alla Dakar 2004 sulla innovativa Yamaha WR 250 F 2-Trac 2 ruote motrici

Yamaha WR 450 F 2-Trac Dakar 2004

Il sistema di trazione integrale 2-Trac (doppia trazione) è stato sviluppato dalla Ohlins per conto della Yamaha, che è proprietaria dal 1987 della famosa Casa svedese di sospensioni. La spiegazione dell’interessamento della Ohlins nello sviluppo del 2-Trac risiede nella scelta di base compiuta dalla Yamaha al momento in cui ha deciso di investire nello sviluppo di una trazione integrale per motociclette. Le possibilità erano due: o una trasmissione meccanica, già tentata diverse volte nella storia della tecnica motociclistica con pessimi risultati, soprattutto per il peso e per la complicazione del sistema che obbliga a ristudiare tutto l’avantreno della moto, oppure una trasmissione attraverso una pompa e un circuito idraulico: appunto il pane della Ohlins…

Il sistema brevettato dalla Yamaha consiste di una pompa idraulica, posta sopra la scatola del cambio e azionata da un giro di catena in bagno d’olio. Il movimento della pompa crea un flusso unidirezionale ad alta pressione del fluido idraulico contenuto nel circuito chiuso che, attraverso lunghe tubazioni flessibili porta il fluido stesso ad azionare il motore idraulico inserito nel mozzo della ruota anteriore, e lo recupera riconducendolo alla pompa.
La capacità di trazione della ruota anteriore è direttamente proporzionale alla pressione del fluido idraulico generata dalla pompa, che varia in funzione della trazione della ruota posteriore. Il sistema è quindi autoregolante ed è sempre in grado di distribuire la trazione fra le due ruote secondo un rapporto ottimale. In pratica, a qualsiasi perdita percentuale di aderenza (e quindi di trazione) della ruota posteriore corrisponde un aumento della trazione applicata alla ruota anteriore. La taratura standard del sistema può oltretutto essere variata in funzione delle diverse esigenze. Inutile dire che la trazione della ruota anteriore non potrà mai essere superiore a quella della ruota posteriore.

La trazione integrale 2-Trac presenta non solo il vantaggio di una notevole efficienza e flessibilità, ma anche quello della leggerezza complessiva del sistema, del limitatissimo ingombro e soprattutto non richiede modifiche strutturali di alcun tipo al veicolo su cui è applicata.

La sperimentazione del sistema Yamaha-Ohlins per la trazione integrale delle moto inizia nel 1998, quando due Yamaha YZ250 dotate di 2-Trac vengono mostrate per la prima volta in Svezia.
Nel 1999 il sistema è sperimentato su una Yamaha TT600R e due prototipi di questa moto, affidati ai piloti del Team Belgarda, Angelo Signorelli e Antonio Colombo, partecipano al UAE Desert Challenge. Colombo vince poi il Rally di Sardegna. Un esemplare evoluto di questa TT600 R nel 2000 viene testato dal campione di cross Andrea Bartolini.

Il 2001 è l’anno del lancio internazionale: Jean Claude Olivier, presidente della Yamaha France e pilota, si iscrive con una WR426F 2-Trac al Rally del Marocco e si piazza al quinto posto finale. Lo stesso anno, David Frétigné vince una tappa del Trofeo Andros e coglie il settimo posto nell’Enduro del Touquet.
A un anno di distanza, Frétigné e Oliver partecipano nuovamente al Rally del Marocco e colgono un eclatante successo di squadra conquistando nell’ordine i primi due posti della classifica finale, sempre alla guida di WR426F 2Trac.
Nel 2003 la WR426F diventa WR450F 2-Trac e con questa moto Frétigné ancora una volta non ha avversari nel Rally del Marocco.

La sperimentazione è finita e la sfida si sposta verso la più dura competizione in fuoristrada: obiettivo Dakar 2004!

Il pilota prescelto è il francese David Frétigné, che ha nel suo curriculum quattro titoli nazionali enduro e tre vittorie alla Sei Giorni, ma è alla sua prima Dakar e l’affronta con questa filosofia: “per me il semplice partecipare è la realizzazione di un sogno. Il mio obiettivo non è battere le grosse cilindrate, ma sviluppare la moto e fare esperienza. I risultati fin qui ottenuti sono merito dell’agilità e dell’affidabilità della moto, nonché dei vantaggi della trazione integrale, che garantisce una stabilità superiore e rende molto più facile la guida nella sabbia”.

David Frétigné correrà una Dakar brillantissima e porterà la Yamaha WR450F 2-Trac al settimo posto nell’assoluta, dimostrando con la vittoria nella seconda e nella terza tappa, di rappresentare una proposta tecnica serissima, di aver raggiunto la necessaria affidabilità, e soprattutto di disporre di un potenziale evolutivo notevole. Forse enorme. E magari non limitato al fuoristrada.

N.d.r. La storia dimostrerà il contrario, infatti il progetto 2-trac venne progressivamente accantonato ed ora il sogno del “due ruote motrici” non è più una priorità nel campo fuoristradistico.

fonte www.dueruote.it

Advertising Yamaha Chesterfield – 1987

“Ciro” De Petri la caduta e il ritiro – Dakar 1991

Nonostante tutti i problemi accusati ad Agadez sembrava che «Ciro» De Petri potesse ancora farcela: cinquanta minuti non sono uno svantaggio enorme quando la gara è ancora a metà, soprattutto per un pilota in grado di vincere speciali a ripetizione. Ma purtroppo non è finita come i tifosi italiani avrebbero sperato.

A Gao il bergamasco ci è arrivato su un aereo della SOS Assistance, con la frattura composta della clavicola sinistra, la lussazione dell’anca ed un trauma lombare all’altezza dell’articolazione sacroiliaca. La sua gara è finita al km 25 della speciale, contro un gradino nascosto dalla sabbia molle sul quale la moto si è impuntata proiettandolo lontano.

«Stavo viaggiando a circa 120 km/h è il suo racconto e non mi sono accorto di niente. Il gradino era invisibile. L’avessi visto avrei potuto cercare di alzare la ruota anteriore, o di intraversare la moto per innescare la scivolata: non sarei caduto come una pera cotta. Invece sono volato in avanti e la moto mi è passata sopra due o tre volte, senza colpirmi. Ho ruzzolato per 300 metri, e una volta fermo ho sentito che stavo per svenire. Mi sono fatto forza e mi sono spostato dalla pista, poi sono arrivati gli altri a soccorrermi».

Una caduta incredibile, inaspettata, al punto che De Petri ha chiesto a Cavandoli, fermatosi per assisterlo, di verificare su quale scalino si era impuntato.

«Ho voluto che mi dicesse cosa era successo, non me n’ero nemmeno reso conto. Volevo capire il motivo della mia caduta per non restare con un tarlo nella testa. Che sfortuna! Uno scalino di terra durissima, poco visibile e non segnato sul road book: anche gli altri che passavano, pur rallentando per il mio incidente, prendevano delle botte secche, a sorpresa. Li ho visti girarsi per guardare cosa avessero colpito».

Il pilota del Team BYRD-Chesterfield parla sdraiato su uno speciale materasso nella tenda infermeria, con forti dolori alla schiena per il colpo subito. «Credevo che per me la sfortuna fosse finita ed invece… La mia gara è andata. Che rabbia. Se cadi perché sei arrivato lungo in una curva o perché hai esagerato è colpa tua e pazienza. Può succedere di cadere anche mentre si rischia in fuori pista. Ma così… La spalla non mi fa male, fosse stato solo per quella sarei ripartito. E’ dietro che sento un male lancinante».

Per fortuna però si tratta solo di una brutta botta. Il colmo è che De Petri non stava nemmeno forzando.

«Stavo andando bene ma non tiravo allo spasimo pur essendo davanti a tutti. Con quella moto mi trovavo alla perfezione su questo terreno, la lasciavo correre senza fatica. Ero partito caricato ma tranquillissimo dopo la vittoria di ieri: sapevo che c’erano ancora sei giorni di gara. Avrei mangiato 30 minuti a tutti, dietro di me c’era un polverone che li avrebbe rallentati. In due giorni avrei potuto recuperare tutto il vantaggio ai primi della classifica generale. Che sfortuna».

Sfortuna? A giudicare dalle condizioni della moto ci sarebbe da pensare il contrario, visto lo stato in cui era ridotta. L’ha portata a Gao uno dei camion di assistenza della squadra.

«E distrutta, non ho mai visto una moto conciata così. I serbatoi sembrano ridotti a carta stagnola, il manubrio è strappato. E come se fosse stata buttata giù da un burrone. Io nell’incidente ho perso anche i guanti».

De Petri è stato portato il giorno dopo a Niamey assieme a Wagner dall’ae-reo privato del Team BYRD-Chesterfield, ed è poi stato rimpatriato da un aereo della SOS Assistance.

Fonte Motosprint