Regas Dakar 1987
In questa foto la povera Suzuki di Regas Dakar 1987
In questa foto la povera Suzuki di Regas Dakar 1987
Qualche anno fa, il Museo della Moto di Bastella ha esposto un impressionante numero di moto reduci dalla Dakar di tutte le annate. Per gli amanti del genere, il Prado e il Louvre erano annientati, di fronte a questo. E rimanemmo stupiti di fronte a questa bicilindrica con telaio Sotelo e motore Suzuki SV650: un bel V2 robusto e dall’erogazione giusta per una bicilindrica da fuoristrada, che ci compreremmo volentieri, se ne esistesse una produzione dì serie.
Ma ancora più incredibile fu scoprire il pilota: Marc Coma, oggi il numero uno, all’epoca sconosciuto. Eppure, era solo il 2002, non capiamo come ci siamo fatti scappare una moto così interessante visto che, ad ogni Dakar, cerchiamo sempre di scoprire se c’è qualcuno ìn sella a moto strane.
(Fonte Motociclismo Fuoristrada – foto Museo della Moto, Bastella, Spain).
Special tkanks Gianni Uomodighiaccio
L’unico “vero” privato italiano che è giunto al traguardo alla Dakar 1998 è Lorenzo Lorenzelli. Gli altri, infatti, avevano almeno un meccanico ad attenderli al bivacco, mentre Lorenzo ha fatto tutto da solo. Ma la sua Suzuki DR 350, una moto di terza mano prestatagli per l’occasione dal cugino, non l’ha tradito.
«Subito il primo giorno ho preso la forfettaria per un problema elettrico, e non speravo proprio di finire la gara. Qui a Dakar è veramente magico e dimentichi tutti i problemi di 18 giorni terribili. Ce l’ho fatta sol-tanto perché un po’ tutti mi hanno dato una mano: gli altri piloti, ma anche i meccanici al bivacco. È fantastico».
Anche la gialla Suzuki di Gaston Rahier è praticamente uguale alla moto già vista nell’edizione della Dakar 1988. I più sostanziosi interventi riguardano il motore, maggiorato fino a 810 cc aumentato di potenza ed addolcito contemporaneamente nell’erogazione per migliorarne il comportamento sin dalle minime aperture dell’acceleratore.
Carter in magnesio, nuovi carburatori e nuovo sistema di filtro d’aria incrementano la respirazione del propulsore. Inalterato l’esclusivo sistema di raffreddamento SACS ad aria più olio, con grande circolazione del lubrificante nella testa e nel cilindro.
La distribuzione è monoalbero con quattro valvole e doppia accensione per accelerare la propagazione del fronte di fiamma. Cambio cinque marce e frizione in bagno d’olio. La potenza supera i 65 cavalli con una coppia sostanziosa di ben 8,7 Kgm sin dai bassi regimi.
Il serbatoio principale è realizzato in alluminio come quelli posteriori, per contere il più possibile il peso, ora ridotto a 151 Kg a secco secondo le dichiarazioni ufficiali.
La linea simile alla DR Big normalmente in vendita, è caratterizzata dal pronunciato “becco”, carenato per migliorare l’efficienza aerodinamica.
Il telaio è monotrave in acciaio al cromo-molibdeno con culla sdoppiata sotto il motore con una nuova geometria e disposizione dei pesi per migliorare la guidabilità, per altro già molto buona.
La geometria della sospensione posteriore è stata rivista per variare la progressione dell’ammortizzatore e la forcella è stata sostituita con un’altra maggiormente dimensionata, di più ampia escursione e ricavata dal “pieno”. Il serbatoio supplementare di destra è stato ridotto nelle dimensioni per alloggiare il lungo terminale di scarico realizzato completamente in titanio.
Gaston Rahier concluderà la Dakar 1989 all’undicesimo posto, Charbonnier 14°.
Gaston Rahier sulla Suzuki Big 800 Marlboro alla Parigi Dakar 1988, dove si classificò al 9° posto dietro a Findanno.
Con oltre 30 rally africani sulle spalle, fra veterani della Dakar, Beppe Gualini si schiera al via nel 1990 a cavallo di una Suzuki DRZ 750 Big. Concluderà in ottima 15a posizione nella generale.
Forse non tutti si ricorderanno della fugace partecipazione del Campione del Mondo Cross 125 Michele Rinaldi alla Parigi Dakar del 1987.
La moto era una Suzuki DR 650 di serie preparata dal team dell’importatore francese, che schierava al via anche i fratelli Joineau.
La gara per Michele non andò benissimo e per sua stessa ammissione: “in complesso l’esperienza è stata utile, in quanto mi ha creato un bagaglio di esperienza che mi sarà utile – conferma Rinaldi. Sono contento della decisione presa anche se in taluni casi ho stramaledetto il giorno che che ho pensato di iscrivermi alla Dakar. Non si è trattato solo di problemi fisici, in fondo facilmente superabili, ma anche di problemi psicofisici che stanno alla base di una maratona lunga ed estenuante come la Dakar.”
Sostiene Rinaldi :” a Parigi nel prologo sono anche riuscito a divertirmi convinto che quella fosse già la vera corsa. I migliori per rimanevano in disparte, chissà perché? L’ho scoperto a mie spese, loro sapevano che la gara vera inizia dopo Tamanrasset. Io invece da brava matricola tiravo già e commettevo il mio promo grosso errore. Ci avrebbe pensato l’Africa a calmarmi”.
“Ricordo ancora Balestrieri, vincitore della seconda tappa, dirmi – Tu Michele non hai capito niente di questa gara”.
Purtroppo alla 9a tappa, una caduta fece uscire la spalla già lussata nel 1984 e Michele diede il suo saluto alla Dakar.
L’esperienza della Suzuki all’edizione del 1987, non fu comunque completamente negativa, in quanto una delle moto vide il traguardo, in un onorevole nona piazza nell’assoluta con Marc Joineau.
Le Suzuki DR 500 dei fratelli Joineau alla partenza della Dakar 1983. Marc (#41) si classificò al terzo posto nell’assoluta, mentre Philippe (#40) si ritirò.
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