DAKAR 1996 – KTM: uno squadrone in scia al vincitore
/0 Comments/in 1996, MOTO EPICHEQuattro moto nelle prime cinque posizioni; il primo posto nella classifica Marathon, nella veterani e nella femminile. Non c’è ombra di dubbio, la Dakar per la KTM è stato un ottimo banco di prova ed è mancata (anche se non è poco)
solo la vittoria.
Il favorito era Heinz Kinigadner, ma dopo la sua uscita di scena Jordi Arcarons ha tenuto alti i colori della Casa austriaca e con lui si sono ottimamente comportati Meoni, Sainct, Jimink e Sotelo. Due i tipi di moto schierati al via; uno equipaggiato con un propulsore dalla cilindrata di 653 cc, affidato a Arcarons, Sotelo e Kinigadner, l’altro di 609 cc in vendita a tutti al prezzo di lire 21 milioni compreso l’assistenza.
La filosofia del Marchio austriaco, quindi, era anche quella di consentire a costi bassissimi di partecipare alla Dakar a chiunque volesse. E la dimostrazione che sia il mezzo “ufficiale” sia quello in vendita fossero competitivi lo dimostra la classifica finale che ha visto sette “kappa” nei primi dieci posti. Il motore è praticamente quello della “Duke”; monocilindrico raffreddato a liquido con albero di bilancia-mento (sia nella versione “maggiorata” sia in quella di serie).
Il cambio è a cinque marce; la frizione a bagno d’olio. Per quanto riguarda la parte ciclistica, i mezzi adottano sospensioni White Power anteriori e posteriori. Il monoammortizzatore posteriore ha un’escursione di 300 mm. Il telaio è di serie con barre posteriori rinforzate per sostenere il serbatoio del-la benzina.
Approssimativamente il monociclindrico sviluppa una potenza di circa 65 cv con una velocità massima di 175 km/h. La moto si è trovata più a suo agio nella seconda parte del tracciato e soprattutto in Guinea, dove piste insidiose e veloci, hanno esaltato le caratteristiche di questa moto, di 148 kg. La causa dello stop forzato di Kinigadner, pare sia stata simile a quella di Peterhansel, con un rifornimento “sporco”.
Dakar 1989 – Torri e il suo ritiro inspiegabile
/2 Comments/in 1989, STORIETesto di Nicolò Bertaccini
I problemi che possono capitare durante una Paris-Dakar sono innumerevoli e di tutti i tipi. Alcuni sono eclatanti, prevedibili ma altri sono difficili da prevedere e diagnosticare. Quello del rifornimento è sempre stato un momento delicato. Ci sono racconti di ogni tipo, travasi fatti con buste della spesa, trattative coi locali, rabbocchi fatti di bicchiere in bicchiere.
E la benzina non era certamente di prima qualità. Alcune volte, per incomprensioni linguistiche o per furbizia, alcuni locali hanno venduto gasolio ai partecipanti, lasciandoli a piedi dopo pochi km. Quello accaduto a Claudio Torri nel 1989 rientra fra i problemi di difficile comprensione e diagnosi. Quelle volte in cui la moto ti pianta, si tacce e non ti fa capire quale sia il problema, come una compagna capricciosa che non voglia rivelare il motivo dell’arrabbiatura.
Torri guida una KTM 620 LC e siamo al termine di una tappa libica, al confine col Niger.
Quando si fa ora di ripartire, al mattino, la moto non risponde. Torri prova una, due, dieci, cento volte ma la moto non accenna ad avviarsi. Nulla. Il bivacco pian piano si sveglia e si prepara ed il Bergamasco è ancora accanito contro l’avviamento della sua moto. Ogni calcio accumula rabbia e nervoso. Ma la moto se ne frega. Immobile. Inerme.
Il bivacco ormai è attivo e non passa inosservato quel privato così frustrato ed accanito contro la monocilindrica austriaca. Gli offrono anche di provare a tirarla con un camion, per aiutarlo a ripartire. Nulla, non serve la forza bruta, la KTM di Torri non ne vuole sapere.
Nessuno ha un’idea, nessuno capisce, nessuno ha un suggerimento che possa far capire come intervenire. Sembra tutto perfetto. Solo che non parte. Non c’è diagnosi, non c’è cura. Torri decide di arrendersi. Se la moto non parte e non si capisce il perchè, inutile insistere. Il mezzo viene così caricato su un camion alla volta di Dakar, dove dovrà essere rimpatriato, da ritirato.
Appena arrivata il meccanico la scarica dal camion, la guarda un’altra volta e poi prova a fare come facciamo noi con gli elettrodomestici: rifacciamo la stessa cosa a distanza di tempo, per vedere se è vero che il tempo aggiusta ogni cosa. Magari non sempre funziona ma quel giorno, in Africa, alla prima mezza pedalata del meccanico la moto è ripartita ed ha ripreso a cantare, come nulla fosse.
Superato lo stupore è arrivata anche la diagnosi: all’ultimo rifornimento la benzina era annacquata come il cocktail di un gioco aperitivo di un villaggio turistico e durante la notte l’acqua era diventata ghiaccio, impedendo al motore di accendersi.
Perchè di notte, alla Dakar, poteva fare molto, molto freddo. Lo sapevate?
Il tributo a Lalay di Dune Motor
/0 Comments/in 1991, MOTO EPICHE“Volevamo scrivere una lunga descrizione su come fosse nata questa moto e su cosa rappresentasse, ma alla fine rileggendo abbiamo capito che bastano poche parole. Questo lunghissimo lavoro è un omaggio al mai dimenticato Gilles Lalay, e a tutte quelle persone che direttamente o indirettamente hanno contribuito ad immaginare, realizzare e portare in gara una delle più incredibili e affascinanti moto che mai abbiano solcato le piste africane.”
Grazie a tutti loro.
Filippo e Angelo Dune Motor.
DAKAR 1996 – Husqvarna e Tiainen, esperimento quasi riuscito
/0 Comments/in 1996, MOTO EPICHEIl monociclindrico del Gruppo Cagiva avrebbe voluto fare concorrenza alla KTM. L’esperimento è stato affidato ad un decano delle competizioni enduro, Kari Tiainen. L’esordio è stato felicissimo; terzo nella prova di accelerazione dispuatata a Granada e primo nella prima vera tappa della gara. Purtroppo una volta in Africa il monocilindrico Husqvarna è sparito dalla scena collezionando, sino alla quinta tappa dove poi si è ritirato per problemi al motore, solo piazzamenti.
L’Husqvarna portata in gara da Tiainen era preparata dal CH Racing Team. L’esperienza non è stata delle migliori. Kari si è ritirato alla quinta tappa.
ll quattro tempi preparato dal CH Racing Team è strettamente derivato dalla mo-to di Jacky Martens. Meno compresso rispetto alla moto da cross del mondiale, ha un cambio a cinque marce, un albero speciale equilibrato diversamente e monta una biella un po’ più lunga in modo da spingere meno e conseguente-mente sforzare in modo minore sui cuscinetti di banco.
Il pistone ha uno spinotto leggermente più rialzato, ma una corsa identica a quella della moto da cross. E’ stata montata la pompa dell’olio, assente sulla moto da cross e il carter ha subìto una modifica pressoché totale, proprio in funzione dell’alloggiamento della pompa. La frizione è a otto dischi. Il telaio è rinforzato nella zona del can-notto di sterzo.
ll forcellone Marzocchi è di serie con una differente taratura. Il serbatoio da 22 litri ha un telaietto portante. L’impianto elettrico è dotato di batteria, necessaria per solo il funzionamento del road book. Il motore ha una coppia ai bassi regimi particolarmente efficace e rispetto alla moto di serie consente di tenere marce più alte e per un periodo di tempo più molto ungo. La cilindrata è 650cc e sviluppa oltre 62 cv alla ruota. Il peso della monocilindrica è 148 kg.
Franco Picco sul sui mono alla Dakar 1989
/0 Comments/in 1989, PILOTICon Franco Picco è d’obbligo parlare della 750 Yamaha.
“Ho provato tempo fa in Giappone un bicilindrico; certo ha molta più potenza, dalla parte del mono giocano però l’affidabilità e la sicurezza. La nostra monocilindrica in ogni caso è molto evoluta; ha il raffreddamento a liquido, cinque valvole, è ormai super affidabile. Le modifiche di quest’anno (una sola candela, circuito di lubrificazione potenziato ecc.) hanno portato a una potenza di 58-60 cv con un peso di 165 cv con un peso di 165 kg; la velocità di punta non è tanto diversa, invece il tiro ai bassi, che di serve e guidare meglio, è notevolmente migliorato”.
Motosprint – Gabriele Gobbi
Protar BMW 1000 Dakar 1985
/0 Comments/in 1985, MOTO EPICHEPer celebrare la corsa più famosa del mondo, abbiamo allora pensato di ripercorrere la storia di questa gara, gettando uno sguardo ai tempi in cui arrivare sulle sponde del lago di Dakar era già un’impresa e il podio era riservato a pochi eletti. Cercando tra le proposte offerte dal mondo del modellismo, la scelta è caduta su una moto che ha vinto quattro volte questa gara, la BMW 1000. Guidata vittoriosamente nell’81 e nel ’83 da Hubert Auriol, ha bissato i successi con Gaston Rahier nell’84 e nell’85.
Il modello da noi esaminato è la riproduzione della Bmw 1000 con cui Rahier corse nell’85, realizzato in scala 1:9 dalla Protar. Numerosi i particolari che compongono questo modello, stampati in tre colori (bianco, grigio e cromato), con tagli di pelle bianca e nera, un taglio di gomma adesiva. numerose viti, molle e, come ultimo particolare, un pezzo di rete metallica. Iniziamo il montaggio dalle ruote a raggi cromate che ospitano delle gomme tasselate sulle quali passiamo della carta smerigliata fine per togliere il lucido della stampa e creare l’effetto-usura nella gomma.
Il motore, il classico boxer che per tanti anni ha caratterizzato i modelli BMW, si presenta ben dettagliato, con numerosi particolari cromati come la farfalla per l’asta dell’olio e la pompa dell’olio. I cilindri constano di ben 22 pezzi (ogni aletta è un particolare che viene avvitato al carter) e tra questi la molla, da realizzare su misura, che sorregge lo scarico. Si passa ora al montaggio dei carburatori, due cromatissimi Bing con relativo filtro per la benzina. Di bell’effetto il tubo per la benzina realizzato in materiale trasparente.
Il telaio, una struttura in tubi tondi a doppia culla, sorregge il motore tramite quattro viti e gli accessori che lo completano sono il supporto per le bobine, le borracce per l’acqua e il radiatore per l’olio posizionato anteriormente sotto il cannotto di sterzo. Dopo aver realizzato a misura altre due molle, vengono montate le marmitte complete e quindi le protezioni in tubo per i cilindri. Le sospensioni non presentano particolari difficoltà, poichè questo modello era dotato di trasmissione a cardano. Gli ammortizzatori posteriori, con serbatoio separato, necessitano della colorazione delle molle; a tale scopo si consiglia di pulire la molla con diluente per facilitare la tenuta della vernice.
Il parafango anteriore presenta una finestra attraverso la quale passa l’aria per il raffreddamento del radiatore dell’olio, la rete metallica va tagliata a misura e inserita dalla parte interna. Il manubrio, fissato alla piastra superiore della forcella con quattro viti, è stato oggetto di modifiche da parte nostra. Abbiamo infatti aggiunto una borsina porta attrezzi fissata al traversino superiore del manubrio e un road-book manuale con comando posto sulla manopola di sinistra. Una ulteriore borraccia è stata sistemata all’interno del cupolino che sorregge il fanale. Il serbatoio, realizzato in quattro parti , si completa con due tappi cromati.
La sella va rivestita nella parte superiore con la gomma opportunamente sagomata, e la parte posteriore con pelle bianca. Il parafango posteriore, con relative tabelle e fanale, necessita di un foro in prossimità del fissaggio al telaio facilmente realizzabile seguendo le istruzioni. A questo punto, armati di forbici, bisogna improvvisarsi tapezzieri e, seguendo la istruzioni, realizzare con la pelle nera in dotazione la borsa da fissare sul serbatoio con la finestra trasparente per contenere le note di gara, e la borsa da fissare al portapacchi posteriore. Unica accortezza è quella di usare una lama nuova per tagliare le cinghie con cui realizzare i fissaggi, poichè la misura da tagliare (1.5mm) deve essere perfetta per garantire il passaggio della cinghia nella fibbia. Una mano di lucido per proteggere le decalcomanie… dalla sabbia e la BMW 1000 Parigi-Dakar è pronta.
Testo, foto e modellino di Massimo Moretti.
Il “ratto bavarese” del 1985
/0 Comments/in 1985, STORIETesto di Nicolò Bertaccini
La Dakar, quella con la D maiuscola, è piena di leggende e storie. Alcuni sono racconti da “pescatori”, ingigantiti, arricchiti e resi mitici dal passaparola e dagli anni. Storie che abbiamo imparato ad amare e che conserviamo come vere. Altri racconti, in genere quelli più incredibili, sono invece reali anche nelle virgole.
Quello che ci è stato raccontato da Claudio Torri (6 Dakar dal 1984 al 1991) è un aneddoto che rientra in quelli realmente accaduti, in quelli che non hanno bisogno di essere colorati e insaporiti per essere immortali.
Parliamo del “Ratto Bavarese”.
L’abbiamo sentito direttamente da Torri durante un pranzo. Quando ce l’ha raccontato il nostro Dakariano aveva gli occhi illuminati, come quelli di un bimbo che ha combinato una marachella ma ne è orgoglioso e cerca comprensione dalla corte, se non uno sconto di pena almeno un po’ di simpatica comprensione. Una luce birbante, da chi a distanza di anni ancora si sente di aver fatto una piccola grande furbata. Esita un po’, prima di tirar fuori dal cassetto della memoria i dettagli ma alla fine si convince. Sorride e ci dice “ormai sarà tutto prescritto”.
Torri è uno di quei piloti che la Dakar l’ha studiata e capita facendola, che è diventato motociclista e meccanico km dopo km, edizione dopo edizione. Ogni anno un po’ di esperienza, qualcosa di nuovo compreso, una modifica da apportare al progetto, una miglioria da intordurre.
In quegli anni il riferimento nella corsa delle moto era BMW che con le sue Gelande-Strasse veleggiava nel deserto.
Torri ha sempre avuto la curiosità e l’inventiva tipica degli abitanti del bel paese e quallo spirito di iniziativa che è nei geni di chi nasce nella Bergamasca. Ha sempre messo in campo tutto il necessario per ottenere il meglio senza mai tirarsi indietro perseguendo le sue idee anche quando sembravano folli, anche quando si sono rivelate sbagliate. Anche questa volta capisce dov’è la soluzione ad un annoso problema che tormentava la sua Moto Guzzi alla Dakar 1984, quello della sospensione posteriore, praticamente inefficace che costringeva ad una costante guida in piedi sulle pedane.
Decide che c’è solo un modo per accorciare i tempi di studio e di sviluppo: copiare dai migliori. In fin dei conti se fanno così i Giapponesi perchè non farlo anche noi, si sarà chiesto. Solo che un’intuizione di questo tipo nella mente eclettica, inventiva e brillante come quella dell’architetto Torri diventa una Mandrakata. E non sarà la prima o l’ultima. La via più semplice per studiare i migliori è procurarsi la moto dei migliori. La BMW. La BMW R80G/S di Gaston Rahier fresca vincitrice della Dakar 1985. La BMW conservata, ovviamente, a Monaco.
Quando sei abituato a risolvere problemi in mezzo al deserto, magari nel cuore della notte, quando sei affamato, stanco e con ancora centinaia di km da percorrere senza sapere neppure con precisione in che direzione, il pensiero che andare in Baviera a prendersi una moto possa essere complesso non ti sfiora. E infatti il nostro non si scompone. Ridotto ai minimi termini il piano presenta due problemi: serve un furgone ed un pretesto.
Trova entrambi e così parte alla volta di Monaco, per farsi prestare la moto di Gaston Rahier dalla BMW. Ok, condediamoci un po’ di tempo per riflettere su quello che abbiamo appena letto: Torri vuole andare a Monaco per chiedere alla BMW la moto dominatrice della Dakar. Fantastico. L’espediente è un evento celebrativo, una sorta di raduno organizzato da un motoclub. Incontro in cui sarebbe bello poter esporre la moto campione.
Chissà, forse perchè pungolati nell’orgoglio teutonico i Tedeschi ci cascano. Mi immagino il buon Torri che arriva col furgone e due corpulenti e baffuti magazzinieri bavaresi che caricano la moto sul furgone blaterando di supremazia meccanica ed ingegneristica tedesca. Ovviamente lungo la strada la moto sarà deviata a Modena per fare una sosta ed essere ammirata. Non da un gruppo di motociclisti ad un raduno ma da Torri e dai suoi che avranno così modo di carpire il segreto di quella sospensione posteriore.
CAGIVA Edi Orioli modellino Dakar 1990
/0 Comments/in 1990, MOTO EPICHELa stagione delle gare africane ci offre lo spunto per trattare dei modellini in scala delle moto nate per i grandi raid e rese celebri dalle imprese dei vari Rahier, Neveu, Lalay, Peterhansel e Orioli. Erano prototipi sviluppati intorno al concetto di moto da enduro, ma raffinati a tal punto da poter essere considerate vere e proprie Formula Uno del deserto.
Macchine ineguagliabili che hanno fatto sognare motociclisti di ogni età e che oggi, scomparse dalla scena a causa dei nuovi regolamenti, sopravvivono sotto forma di modellini in scala. Modellini che vi presentiamo in questo servizio. Esemplari un po’ particolari perchè abbiamo voluto rielaborarli, creando un prototipo secondo i nostri desideri. Tutti i modelli infatti sono realizzati con grande cura, composti da numerosi pezzi e data la relativa grandezza della scala si prestano molto bene a essere utilizzati come base per altre versioni.
La Protar ne ha in catalogo diversi, tutti i nscala 1:9 la BMW 1000, la Yamaha Ténéré 660 in due versioni Belgarda e Chesterfield e la Cagiva del 1987. Ed è proprio da quest’ultima che siamo partiti per realizzare la nostra versione, quella del 1990 vincitrice della Parigi-Dakar con Edi Orioli. Raccolta una opportuna documentazione fotografica abbiamo iniziato il lavoro. Il telaio strutturalmente invariato è stato solo modificato nel reparto sospensioni con l’adozione di una forcella a steli rovesciati e di un diverso forcellone.
La prima è stata ricostruita completamente utilizzando, di quelle esistenti, la parte del fodero con gli attacchi per la ruota e per la pinza freno, la nervatura di rinforzo sul forcellone è stata realizzata tagliando alcune striscie di plastica di 1.5 mm incollate nella parte superiore con abbondanza di colla per simulare le saldature, infine sagomata con carta fine per ottenere la forma finale. Il motore è lo stesso bicilindrico Ducati raffreddato a liquido utilizzato da entrambe le versioni, ma quella da noi realizzata si distingue per l’aggiunta del radiatore dell’olio e di una pompa acqua di dimensioni e posizione diverse.
Il radiatore dell’olio proviene dalla Yamaha 660 Ténéré della Protar, il supporto è stato ricavato da una nervatura esistente nel paracoppa sempre della Yamaha opportunamente sagomato. Per la pompa acqua abbiamo invece utilizzato un serbatoio ammortizzatore. L’aggiunta dei tubi dell’olio, dell’acqua e una cura generale del particolare, come la verniciatura delle viti e altri pezzi in color magnesio, hanno completato il montaggio del motore.
I freni anteriormente abbiamo verniciato la pinza in color oro, posteriormente abbiamo tolto il tirante inferiore di ancoraggio fissando il supporto pinza al forcellone. Verniciatura della pinza e del relativo supporto in oro e il raccordo per il liquido sul forcellone in lega hanno completato l’opera. Per il gruppo dello scarico i due collettori sono rimasti invariati, la parte terminale è stata ricostruita utilizzando un pezzo di tubo di gomma pieno sagomato a caldo.
Per il silenziatore siamo partiti da un tondo di plastica sagomato nella forma originale e con dei fogli di plastica da 0.5 mm abbiamo realizzato la fascia di supporto ancorandola al telaio con una vite. A questo punto comincia la parte più impegnativa della trasformazione, cioè la carrozzeria. Stucco, carta vetrata, pazienza e tante fotografie hanno permesso di modellare, sulle parti interne del serbatoio e del fondo del gruppo sella codino. utilizzate per avere gli stessi attacchi sul telaio, le forme della nuova versione.
Fanali e cupolino trasparente sono di provenienza Yamaha 660 Ténéré versione Chesterfield della Protar. Cruscotto, strumentazione supplementare, tappi benzina e fanaliposteriori sono pezzi che abbiamo recuperato da modelli vecchi o rotti (mai buttare via nulla). La sella è stata ricoperta in pelle nera e nei paramani abbiamo eseguto dei fori di alleggerimento. Vernicatura dei filetti verdi e rossi, applicazione delle decalcomanie e, per finire, una mano di trasparente protettivo per evitare che le decalcomanie si rovinino col tempo, sono stati gli indispensabili tocchi finali.
Ringraziamo Massimo Moretti, creatore del modellino, per le foto e il testo.
Dakar 1997: Peterhansel è di un altro pianeta
/0 Comments/in 1997, STORIEÉ stata un’edizione ancora funestata da un lutto: Jean-Pierre Leduc muore (è la 33esima vittima dal 1979) il 5 gennaio, il secondo giorno di gara nel corso di una speciale particolarmente dura. Il pilota francese, 45 anni, una moglie e un figlio, cadeva in una profonda buca al km 247 della speciale e la sua balise (il dispositivo che segnala un problema e che esclude automaticamente dalla gara) veniva subito accesa dall’equipaggio di un camion arrivato sul luogo dell’incidente. L’elicottero di soccorso atterrava dopo 13 minuti ma i rianimatori potevano solo constatare il decesso del pilota francese.
E questo nonostante l’edizione di quest’anno abbia avuto uno spiegamento medico di tutto rispetto: 35 medici, 2 elicotteri per la rianimazione e il pronto soccorso, un aereo ospedale e uno da campo per ogni bivacco. La Dakar di quest’anno ha dovuto combattere anche contro il pubblico che affollava il tracciato. Cosi nella quarta tappa da Nara a Toumbouctou, un percorso pieno di sabbia finissma che costituisce il fesh-fesh, la speciale tra 2° e il 3° controllo veniva cancellata per motivi di sicurezza. E poi c’è stato il cambio di programma in corsa con il percorso modificato a causa degli atti di guerriglia dei ribelli Tuareg che proprio nella zona dell’altopiano dell’Air hanno la loro roccaforte. É stata cosi eliminata la “speciale” in Niger e l’ultimo tratto fino a Agadez è stato fatto sull’asfalto. La “navigazione” promessa da Auriol, il ritorno all’intuito e all’insita capacità d’orientarsi nel deserto, alla ricerca della pista giusta tra le dune, è stata verificata dal GPS,
II Global Position System, il computer che monitorizza le coordinate terrestri per stabilire la rotta dei concorrenti. La gara vera e
propria non ha avuto storia per la prima posizione. Solo la certezza della supremazia di Stéphane Peterhansel e della sua Yamaha XTZ 850 TRX contro lo squadrone KTM e l’inserimento della Cagiva Elefant (in veste privata) dello spagnolo Gallardo. Dopo avere fatto lo scratch nel-le prime 4 giornate di gara spingendo come un matto, il pilota francese si è rilassato andando letteralmente a spasso per il resto della Dakar. Alla fine della corsa ha accumulato più di 2 ore e 30 minuti di vantaggio. Una dimostrazione di forza grazie alla sua bravura (e alla sua 5a vittoria alla maratona africana) e alla affidabilità della sua Yamaha bicilindrica, una vera moto “ufficiale” che si é aggiornata anno dopo anno e che può disporre di una potenza dichiarata di 85 cv, di una velocità massima di 195 kmh e di un un peso di 210 kg.
Mancando Edy Orioli, diventato giornalista per l’occasione a bordo di un fuoristrada della stampa (non ha consolidato l’ingaggio con la Yamaha France e con la KTM, ma ci riproverà l’anno prossimo con la moto) il ruolo di prima guida della squadra italiana è passato di diritto a Fabrizio Meoni. Quest’anno é finalmente diventato un “ufficiale”, ed esattamente nella squadra KTM insieme a Heinz Kinigadner,
Thierry Magnaldi e Richard Sainct. Ma già il 2° giorno il nostro pilota toscano volava su una delle numerosissime buche mentre cercava di agguantare Peterhansel. Risultato: frattura del metacarpo, lesione dei legamenti e forzato abbandono dalla gara. Gli altri forti Italiani come Maletti non sono arrivati al traguardo. Onore a Sanna, un sardo determinato, duro e orgoglioso come la sua terra, e primo (22° assoluto) trai nostri piloti.
Tratto da un’articolo su Motociclismo