Dopo 13 anni di motocross alla rincorsa di un sogno che seppur sfiorato più volte, non sono mai riuscito a farlo diventare la mia professione, ho pensato di chiudere almeno in bellezza questa parentesi di vita.
In quegli anni la Parigi Dakar teneva il mondo attaccato alla televisione, ai quotidiani e alle riviste. E quindi pensai che fosse la gara giusta, un sogno molto alettante, tanto da farne diventare una piacevole ossessione partecipando a 3 edizioni, dal 1989 al 1991.
Già, ma con quali soldi, con quali mezzi!?
Vi ricordo che sono sempre stato un operaio e coprire i 50 milioni necessari è sempre stato un calvario… Avevo una Yamaha XT Ténéré e questa è stata la mia prima moto che mi portò al traguardo 49° su 60 piloti arrivati al traguardo.
La preparai nella mia solita cantina 4×3 mt (chi dice che servono mega officine sbaglia) e solo per i serbatoi chiesi aiuto a VRP. Il motore era “fresco” aveva solo 18.000 km così sostituii il pistone e il cilindro coperti dalla “garanzia” pirata del mio amico concessionario. Ricordo che al 2° giorno caddi e distrussi il trip master, così guidai senza note fino alla fine, seguivo le tracce, la polvere e il mio istinto. Solo seguendo le tracce lasciate sulla sabbia da piloti come Franco Picco e Edi Orioli, riuscii a finire, perciò a loro va a loro il merito e la mia massima considerazione, forse i piloti più forti che abbia mai incontrato alla Dakar.
Tutto sarebbe finito lì dopo la prima edizione, avendo raggiunto il mio obiettivo, ma quando gli sponsor bussano alla tua porta e per strada ti fermano per chiederti un autografo capisci che non puoi interrompere questo sogno stupendo.
Nella Dakar 1990 avevo già un precontratto con Balestrieri per il noleggio di una delle sue Aprilia, poi all’ultimo momento tutto sfumò e la mia scelta ricadde su un’Africa Twin che mi fornì Boano. La moto era già preparata direttamente dalla HRC mancavano solo la strumentazione, le gomme e poche altre cose.
Purtroppo non fu un’edizione fortunata, un incidente importante alla 4° o 5° giornata, non ricordo bene, mi costrinse a terminare anticipatamente la corsa (ero al confine tra Libia e Niger e li finiscono i miei ricordi, perchè mi svegliai in sala di rianimazione al Maggiore a Bologna dopo 5 giorni).
Per la mia ultima Dakar, quella del 1991, usai sempre un’Africa Twin che Honda Italia mi mise a disposizione. Era già stata usata al Rally dei Faraoni, però era in ordine. Purtroppo quella edizione finii troppo presto, la pompa della benzina smise di funzionare al confine col Niger (ancora li, che fortuna!) e solo grazie ad un piccolo gruppo di piloti ritirati, dopo 3 giorni risalimmo fino a Tunisi dove ci imbarcammo per l’Italia.
La moto che sicuramente mi ha dato più soddisfazioni e che ricordo con più piacere è stata senz’altro la mia prima Yamaha, era la più leggera è la più maneggevole, però aveva dei limiti. A differenza dell’Honda bicilindrica, se vuoi più pesante ma decisamente più completa per una competizione simile.
Arrivati a questo punto, cosa resta della mia Africa? Credo di aver dato tanto di me stesso a questa gara, però non si può essere eterni, mantengo dei rapporti di amicizia con pochi dakariani.
Purtroppo a mio parere la tecnologia ha svilito l’avventura e i problemi politici hanno fatto il resto, della vecchia Dakar è rimasto ben poco. Però fa parte di me e la seguo sempre con piacere ogni volta che parte.
Un aneddoto curioso, è quando ben consapevole dell’importanza del recupero fisico, di mangiare e dormire, per abituarmi al sonno a basse temperature, problematiche avrei incontrato al nord a inizio gara, mi preparavo dormendo all’aperto in sacco a pelo tutto il mese di dicembre!!
Terminato il mio sogno ho scelto un’altra strada nello sport “molto meno impegnativa” che lasciasse tempo alla mia vita privata e senza dare importanza al lato agonistico, ora a 55 anni, una figlia, una compagna e la mia nuova passione è il triathlon.
Ciao a tutti.
Ermanno Bonacini